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Sensibilità ai Solfiti
Sensibilità ai Solfiti

 

Articolo della dott.ssa Monica Martino
Biologa e Consulente per aziende agroalimentari e Food Blogger.

 

 

La sensibilità ad alcune sostanze viene spesso confusa con un’allergia, in quanto le sintomatologie possono essere simili. ma da un punto di vista fisiologico la differenza sta nel fatto che non è coinvolto il sistema immunitario.


Oggi, poniamo l’attenzione su dei derivati utilizzati come conservanti, ma che sono presenti anche in natura. Stiamo parlando dei solfiti: vediamo cosa sono e che disturbi possono provocare.

 

 

Proprietà dei solfiti

 

L’anidride solforosa (E220) e i solfiti (da E221 a E228) trovano impiego nell’industria alimentare come conservanti ad azione antimicrobica, antienzimatica e antiossidante quindi vengono utilizzati per inattivare muffe, lieviti e batteri, per mantenere il colore dei cibi e proteggerli dall’imbrunimento. In base alla concentrazione delle sostanze, possono avere proprietà batteriostatiche (impedire la crescita dei microrganismi) o battericide (provocarne la morte).

 

 

Utilizzo dei solfiti e la loro presenza in natura

 

L’anidride solforosa e i solfiti vengono molto usati per mantenere intatto il colore della frutta e della verdura, anche se la principale e più antica applicazione è nel processo di vinificazione.


I solfiti (in forma solida come polvere), una volta immersi in soluzione acida, liberano anidride solforosa e in questo modo inibiscono l’azione fermentativa dei lieviti presenti sulla buccia degli acini, che potrebbe conferire al prodotto finito aromi alquanto sgradevoli.


Una volta inibiti questi microrganismi, si aggiungono al mosto ceppi di lieviti selezionati, i quali non vengono danneggiati a contatto con i solfiti e che sono in grado di conferire al vino l’aroma ricercato. Alcuni di essi hanno addirittura la capacità di generarli e quindi possiamo certamente dire che la presenza dei solfiti nel vino è normale in quanto prodotti naturalmente nella bevanda stessa.


Comunque prima dell’imbottigliamento, il vino potrebbe essere ancora trattato con i solfiti in modo da arrestare nuovi processi fermentativi e di conseguenza migliorarne la conservazione.

 

I solfiti fanno parte della composizione chimica anche dei seguenti alimenti:

  • aceto di vino
  • sidro
  • birra
  • succhi di frutta
  • frutta disidratata, secca e candita
  • frutti di mare, gamberi e altri crostacei, baccalà
  • verdura conservata
  • funghi secchi
  • uvetta
  • prodotti a base di carne

 

 

Reazioni avverse ai solfiti

 


I solfiti rientrano nella lista dei nove allergeni alimentari più diffusi, anche se la reazione avversa più comune non è effettivamente considerata una vera e propria allergia: solo una piccola percentuale di popolazione risulta effettivamente positiva al test per l’allergia cutanea (e quindi su base immunologica). In questo contesto quindi è più consono utilizzare il termine "sensibilità", poiché non si può parlare di vera e propria allergia, ma di una reazione avversa che scatena sintomi pseudoallergici. L’anafilassi e altre reazioni gravi sono invece piuttosto rare.


Nei soggetti sensibili ai solfiti (stimati intorno allo 0,05-1%), per esempio, il biossido di zolfo, il quale si sviluppa reagendo con gli acidi, possiede proprietà sbiancanti e battericide, ma anche fortemente irritanti. Il contatto dei solfiti alimentari con l’acidità gastrica genera una certa quantità di anidride solforosa, tra i gas più efficaci nell’indurre attacchi di broncospasmo nei soggetti che soffrono di asma (si stimano fino al 5% delle persone). Sono particolarmente esposti al rischio di subire questo genere di reazioni anche coloro che sono allergici all’aspirina.


Già nel 1984, sul Journal of Allergy and Clinical Immunology veniva approfondito il rapporto tra asma e solfiti. L’esperimento ha coinvolto un gruppo di asmatici a cui sono stati somministrati tra i 5 e i 100 mg di solfiti, la dose che secondo i ricercatori una persona normalmente potrebbe consumare durante un pasto in un ristorante. Dopo circa 10-20 minuti dall’assunzione dei sali di solfiti, i partecipanti risultavano aver sperimentato severi attacchi di asma. Il gruppo scelto aveva già manifestato attacchi d’asma intensi dopo aver mangiato al ristorante, ma non presentava altre caratteristiche distintive. I pazienti sono risultati negativi agli anticorpi IgE, quindi non si era in presenza di allergia, così gli studiosi hanno escluso sensibilità verso altre sostanze come aspirina, antinfiammatori non steroidei, glutammato monosodico e altro. Gli attacchi d’asma risultano essere continuati anche tempo dopo l’assunzione dei sali. La stessa ricerca, inoltre, citava un altro gruppo che invece ha presentato attacchi d’asma più lievi dopo il consumo di solfiti, rimarcando il rapporto tra il disturbo respiratorio e questi additivi. Secondo i ricercatori la causa di ciò risiederebbe nelle trasformazioni chimiche che i solfiti subiscono durante la digestione.


Oltre alle emicranie benigne e alle crisi asmatiche, i sintomi della sensibilità ai solfiti possono essere: orticaria, nausea, vomito, sudorazione intensa, vampate di calore e ipotensione. I sintomi si manifestano generalmente entro 15-30 minuti dall’ingestione.


Proprio per queste problematiche associate alla presenza dei solfiti come conservanti in cibi e bevande, i produttori alimentari sono per legge obbligati a dichiararli in etichetta; in particolare, tale obbligo vige qualora la concentrazione di anidride solforosa nell’alimento superi i 10 mg/L o i 10 mg/kg (risultato dei solfiti naturalmente presenti nei cibi sommati a quelli aggiunti).

 

 

Dott.ssa Monica Martino

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Mostarda di Mele
Mostarda di Mele

La mostarda è una salsa antica a base di frutta o verdura e senape, le cui origini risalgonoal I secolo d.C.

Lucio Giunio Columella, storico delle scienze agrarie, ne parla nel suo trattato De Rustica, uno dei pochi testi sull’agricoltura romana giunti fino a noi. Columella descrive una salsa che combina mosto e senape, unendo il sapore dolce al piccante.

 

L’ingrediente principale della mostarda è la senape, che le conferisce il suo caratteristico gusto piccante. L’intensità del sapore può variare in base alla quantità di senape utilizzata, rendendo ogni preparazione unica.
Esistono numerose varianti regionali di mostarda.

 

Tra le più famose troviamo:

  • La mostarda di Cremona, realizzata con frutta candita.
  • La mostarda veneta, preparata con frutta passata.
  • La mostarda mantovana, che utilizza un unico tipo di frutta a pezzetti, come nella versione alle mele che realizzeremo oggi.

 

Per questa versione abbiamo utilizzato delle mele piemontesi, anche se nell’originale di Mantova si prediligono le mele cotogne e campanine. L’importante è scegliere frutti sodi e non troppo maturi.

Iniziamo.

 

 

Ingredienti

 

  • 800 g di mele sode e non troppo mature- (sbucciate e pulite dal torsolo)
  • 400 g di zucchero semolato
  • 15 r di senape in polvere (per un livello medio di piccantezza)
  • 3 cucchiai di vino bianco

 

 

Preparazione

 

  • Tagliate le mele a pezzetti, conferendogli uno spessore di circa 3 mm. Disponetele in un contenitore di vetro o ceramica e cospargetele con lo zucchero. Mescolate bene, coprite con pellicola alimentare e lasciate riposare per 24 ore, mescolando di tanto in tanto per far sciogliere lo zucchero.

 

  • Dopo 24 ore, scolate le mele e fate bollire il liquido rilasciato per circa 10 minuti. Versate il liquido bollente sulle mele, mescolate e lasciate riposare per altre 24 ore. Ripetete lo stesso procedimento per altre due volte.

 

  • Terminati i passaggi, fate bollire a fuoco vivace il succo insieme alle mele, mescolando continuamente, fino a quando il composto sarà asciutto (circa 10-15 minuti, a seconda della quantità di liquido residuo). A parte, scaldate il vino bianco e scioglietevi la senape in polvere. Aggiungete la miscela di senape al composto di mele, mescolate bene e procedete a invasare la mostarda in vasetti con chiusura ermetica.  

 

 

Tips & Abbinamenti

  • Anche se lo zucchero e la senape agiscono da conservanti naturali, una volta aperto il vasetto è consigliabile riporlo in frigorifero per preservarne al meglio il sapore e la freschezza.

 

  • Idee Salate: Il nostro composto alle mele si rivela un tocco di classe se servito con un Tagliere di Salumi & Formaggi, o come accompagnamento per piatti più eleborati, come il Baccalà Mantecato, l'Arrosto di Maiale o un Bollito Misto.

 

  • Idee Dolci: Per una scelta gourmet che stupisce i palati con un abbinamento dolce-salato, Strudel alle Mele o Gelato alla Vaniglia.

 

Chersenta: lo Gnocco Fritto Modenese
Chersenta: lo Gnocco Fritto Modenese

Paola Uberti, autrice e fondatrice del food blog Libricette, una biblioteca online dedicata ai ricettari di cucina, oggi non ci parla solo di una ricetta, ma ci racconta una storia.

 

“C’era una volta una donna nata nel 1899 a Spilamberto, un piccolo comune in provincia di Modena. In famiglia la chiamavamo affettuosamente Lucci, da Mariuccia. Dopo la Prima Guerra Mondiale, Lucci si trasferì a Torino, a soli 20 anni, e lì, negli anni successivi, diventò mamma e poi mia nonna".

"Nonna Lucci, in Piemonte, seppe tenere alto, altissimo, l’onore della cucina emiliana tradizionale. Oltre ai Turtléin (Tortellini) preparava la Chersenta fritta (Crescenta fritta o Gnocco fritto modenese) per tutta la famiglia."

"Nella casa di campagna della mia famiglia, quando la parola chersenta (piemontesizzata in carsenta) attraversava l’aria, tutti eravamo felici. Entravamo in cucina, andando a caccia di un pezzo di chersenta appena fritto, caldo e fragrante".

"Al momento di mettersi a tavola, mangiavamo la chersenta fritta accompagnandola con della salsa di pomodoro, perché quando nonna Lucci era giovane “mica c’erano i soldi per il prosciutto crudo".

"Con il tempo e grazie all’esperienza maturata in cucina e nel mio blog, ho capito che il cibo è molto più di nutrimento. È un mezzo potentissimo per comunicare, esprimersi e creare ricordi". 


"Vi lascio, quindi, la ricetta della chersenta fritta di nonna Lucci, ringraziando il progetto QUI DA NOI. Fatene tesoro".

 

 

La particolarità di questa chersenta sta nella la presenza dello stracchino nell’impasto, che la rende un irresistibile connubio di croccantezza e morbidezza.

 

 

Ingredienti (per 6 persone)

 

  • 3 g di lievito di birra secco
  • Latte intero fresco q.b.
  • 250 g di farina 00
  • 65 g di stracchino
  • Sale q.b.
  • 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva
  • Olio di semi di arachidi in abbondanza (per friggere)

 

Per accompagnare:

 

  • Passata di pomodoro q.b.
  • Olio extravergine di oliva q.b.
  • Sale q.b.
  • Pepe nero macinato al momento q.b.

 

 

Procedimento

 

Sciogliete il lievito di birra in un po’ di latte tiepido, mescolate e lasciate riposare per 5 minuti.

 

Setacciate la farina sulla spianatoia, creando il classico vulcano e versate, al centro del cratere. la miscela di latte e lievito, aggiungendo un altro po’ di latte per facilitare l’impasto.

Unite lo stracchino a pezzetti e incorporate gli ingredienti, portando la farina dall’esterno verso l’interno. Aggiungete il sale e l’olio, impastate per almeno 10 minuti fino a ottenere un composto morbido ma non appiccicoso. L'impasto può essere realizzato anche con l'uso di una planetaria.

Con l’impasto ottenuto formate una palla e trasferitela in una capiente ciotola infarinata. Copritela con della pellicola e lasciatela lievitare per un’ora nel forno spento con luce accesa.

 

Nel frattempo, condite la passata di pomodoro con olio, sale e pepe e tenetela da parte.

 

Dopo la lievitazione, scaldate abbondante olio in una padella a 175°C. Verificate la temperatura con un termometro o immergendo un piccolo pezzo di impasto: se scende sul fondo per poi salire subito a galla, l’olio è pronto.

La temperatura dell’olio è fondamentale. Se è troppo bassa la Chersenta si impregna, risultando unta, pesante e molle. Se, al contrario, la temperatura è troppo alta, la Chersenta brucia sviluppando sostanze dannose.

 

Stendete la pasta in forma triangolare, quindi, usando una rotella liscia, tagliatela a losanghe di 7,5 x 2,5 cm.

Friggete poche losanghe per volta, girandole dopo pochi istanti. Non appena il lato immerso nell’olio sarà dorato, rivoltatele nuovamente e completate la cottura.  La Chersenta Fritta Modenese deve risultare dorata, gonfia e non eccessivamente croccante.

Mano a mano, scolate le losanghe dall’olio e appoggiatele su un piatto foderato con carta assorbente, salandole a piacimento.

 

Servite la Chersenta fritta calda con la passata di pomodoro condita.

 

 

NOTE

 

  • Per tradizione, si può usare lo strutto al posto dell’olio di arachidi.
  • Smaltite l’olio usato in modo corretto, rivolgendovi a centri di raccolta dedicati, come le isole ecologiche. Per qualsiasi informazione al riguardo è possibile rivolgersi al proprio Comune di residenza.
Schiacciata Pugliese -  Cipolle e Acciughe
Schiacciata Pugliese - Cipolle e Acciughe

Il grano duro Senatore Cappelli è una cultivar storica di frumento, selezionata agli inizi del XX secolo dal genetista Nazareno Strampelli. Prende il nome dal marchese Raffaele Cappelli, promotore della riforma agraria che distinse ufficialmente tra grani duri e teneri.

 

Diffuso nel Sud Italia, soprattutto in Puglia ed in Basilicata, rappresenta una delle varietà di grano più pregiate del nostro patrimonio agroalimentare.

Negli ultimi anni il rinnovato interesse verso i "grani antichi" ha portato a riscoprire il valore di questa varietà, apprezzata perché non geneticamente modificata e per le sue straordinarie qualità organolettiche e nutrizionali. Ricco di vitamine B ed E e con un alto contenuto proteico, il Senatore Cappelli è stato a lungo soprannominato in Puglia la “carne dei poveri”.

Oggi questo grano è la base per la produzione di farine biologiche di pregio e paste di alta qualità, capaci di mantenere sempre una cottura perfetta al dente.

 

La crescente domanda di prodotti naturali e salutari trova risposta nell’impegno delle cooperative locali, che valorizzano tradizione e sostenibilità.

 

Per la preparazione della schiacciata pugliese, protagonista del pranzo di oggi, abbiamo utilizzato la farina di grando duro Senatore Cappelli, prodotta dalla Cooperativa Palazzo Piccolo di Ascoli Satriano (FG).

 

La farcitura, invece, è un omaggio ad alcune delle eccellenze enogastronomiche italiane, selezionate con cura da Scialari bottega cooperativa nel cuore di Catania.

 

I capperi di Salina DOP al Sale Marino dell’azienda agricola Dott. Lorenzo Mirabito, dalla consistenza compatta e il sapore intenso, aromatico e pungente.

 

Il Tonno Rosso e i Filetti di Alici in Olio di Oliva , prodotti da Aciblù, cooperativa siciliana che lavora esclusivamente tonno pescato localmente, nel pieno rispetto dell’equilibrio dell’ecosistema marino.

 

 

Procuratevi una teglia di 38,5 cm x 29 cm circa, mettete il grembiule e iniziamo!

 

Ingredienti per l’impasto della schiacchiata

 

  • 700 g di farina di Grano Duro Senatore Cappelli
  • 440 g di acqua
  • 4 g di lievito di birra
  • 1 cucchiaio raso di sugna
  • 22 g di sale

 

 

Ingredienti per la farcitura:

  • 1200 g di cipolla fresca
  • 1 cucchiaio e 1/2 di Capperi di Salina DOP al Sale Marino
  • 45 g pomodorino PachinoSecchi
  • 6 pomodorini freschi
  • 200 g di Filetti di Tonno in Olio d’Oliva Aciblù
  • 5 Filetti di Alici in Olio d’Oliva Aciblù
  • Olio extra vergine di oliva q.b.

 

 


Preparazione



1. Eliminate lo strato esterno delle cipolle e affettatele sottilmente. Cuocetele a fuoco medio in una padella con mezzo bicchiere d’acqua per circa 10-15 minuti, finché l’acqua non sarà evaporata.

Aggiungete mezzo bicchiere di aceto, alzate la fiamma e fatelo assorbire completamente.

Riducete nuovamente il calore, unite il sale, i capperi, i pomodorini secchi e freschi, e fate insaporire con un generoso filo d’olio extravergine per 5-6 minuti. .

 

2. Disponete la farina su una spianatoia, creando un incavo al centro. Sciogliete il lievito in una tazzina di acqua tiepida e versatelo nell’incavo. Aggiungete il resto dell’acqua e il sale, quindi iniziate a mescolare con le mani fino a incorporare tutta la farina. Impastate energicamente fino a ottenere un composto liscio e omogeneo.

Lasciate riposare per circa un’ora.

 

3. Dividete l’impasto in due panetti da circa 550 g ciascuno. Sistemate i panetti in un panno di cotone e poi in un contenitore, coprendoli con un panno umido. Fate lievitare per circa 6 ore, o finché l’impasto non sarà raddoppiato di volume. .

Infarinate la spianatoia e adagiatevi delicatamente l’impasto, sollevando i bordi del panno. Stendetelo con le dita, girandolo su sé stesso per ottenere uno strato uniforme. Trasferite l’impasto in una teglia precedentemente oleata con sugna o olio extravergine.

Distribuite il condimento di cipolle, tonno e alici su tutta la superficie dell’impasto.

Coprite con il secondo panetto, steso seguendo lo stesso procedimento.

 

4. Spennellate la superficie con olio extravergine d’oliva e bucherellatela con una forchetta. Infornate in forno preriscaldato a 250°C per 20-25 minuti, finché la superficie non sarà ben dorata.

 

Buon Appetito!

 

 

Tips & Abbinamenti

 

Per accompagnare al meglio la schiacciata pugliese, ricca di sapori decisi e mediterranei, consigliamo di scegliere un vino che possa valorizzarne i contrasti e le sfumature aromatiche, come un Fiano di Avellino DOCG o Rosato del Salento IGP.

Cartocci di Cavolfiore al Forno in Pastella Integrale
Cartocci di Cavolfiore al Forno in Pastella Integrale

Il cibo di strada affonda le sue radici in tradizioni antiche, sia in Italia che nel resto del mondo, e negli ultimi anni ha conquistato un successo straordinario nelle nostre piazze e nei mercati.

Mangiare con le mani in contesti informali e rilassanti continua a piacerci.

 

Lo street food è sinonimo di immediatezza: è "qui, adesso e subito". Rappresenta condivisione, socializzazione, cultura di luoghi e popoli.

 

In Italia, gli eventi dedicati allo street food sono ormai innumerevoli: camioncini, bancarelle e ristorantini su quattro ruote diffondono nell'aria irresistibili profumi di fritture, cotture al forno e alla piastra. Anche le librerie sono invase da pubblicazioni a tema, segno di un interesse sempre crescente.

Mangiare per strada è parte della nostra cultura, un modo di nutrirci e divertirci che ci rallegra e che si adatta bene ai tempi di crisi economica. Gli esperti concordano: il successo dello street food risiede nella sua accessibilità economica, nella rapidità, nell'immediatezza e nel suo potere di comfort food.

 


Anche grandi chef si sono confrontati con lo street food replicando ricette tradizionali o creando nuove proposte ad hoc, contribuendo ad ampliare e innovare il concetto stesso.

Da pane e panelle allo gnocco fritto, dalle bombette pugliesi alla farinata, dalle olive all’ascolana alle pizze fritte, dagli arrosticini di pecora alle piadine, dai gofri alle miacce piemontesi fino agli internazionali hot dog e bretzel, i confini dello street food si sono espansi.

Tutto può diventare street food. La strada si è trasformata in una vera alternativa alla tavola: possiamo gustare agnolotti piemontesi, orecchiette baresi, sushi, paella e molto altro in pratici cartocci e contenitori.

 


Oggi, proviamo a portare un po’ di strada nelle vostre case con una proposta semplicissima: cartoccio di cime di cavolfiore lessato, rivestite con una sottile pastella a base di farina integrale. La cottura è al forno: leggerissima.

 

Buona passeggiata tra le mura domestiche!

 

Ingredienti (per 4 persone)

 

  • 1 cavolfiore di circa 650 gr
  • 150 ml di acqua
  • 120 g di farina integrale
  • 2 cucchiai di Olio extravergine di oliva
  • 1/2 cucchiaino di lievito per dolci
  • Sale fino q.b.
  • Pepe nero macinato al momento q.b.

 

Preparazione

 

1. Eliminate le foglie e il torsolo dal cavolfiore (potete riutilizzarli per minestroni o una vellutate) e dividetelo in cime non troppo piccole e uniformi.

Lessatele in abbondante acqua leggermente salata per circa 10 minuti, fino a renderle tenere ma ancora croccanti.

Scolatele e lasciatele raffreddare.

 

2. Preriscaldate il forno a 180° in modalità ventilata. Nel frattempo mescolate la farina e il lievito, aggiungendo poca acqua alla volta per ottenere una pastella liscia e priva di grumi.

La consistenza dovrà essere tale da velare il cucchiaio e aderire bene alle cime di cavolfiore.

 

3. Aggiungete l'olio, il pepe macinato fresco e una generosa presa di sale. Continuate a mescolare.

 

4. Immergete delicatamente le cime di cavolfiore nella pastella, eliminando l'eccesso.

Disponetele su una teglia foderata con carta da forno e cuocetele a 180°C per 20 minuti.

 

5. Preparate due cartocci con carta per fritti.

 

6. Spostate la teglia nella parte alta del forno e completate la cottura sotto il grill molto caldo fino a ottenere una leggera doratura. Sfornate, regolate di sale se necessario e trasferite le cime nei cartocci.

Servitele subito per assaporarne la croccantezza e il gusto autentico.

 

 

Tips & Abbinamenti

 

Si consiglia di abbinarlo con

  • Salsa allo yogurt e limone
  • Salsa tahina (per un tocco mediorientale)

 

Per accompagnare, un bicchiere di vino bianco fresco e fruttato, come un Vermentino di Gallura DOCG o un Sauvignon Blanc, completerà perfettamente l'esperienza.

Pelle Liscia Come una Pesca
Pelle Liscia Come una Pesca

Nella cultura cinese, il dio della longevità, Shou Xing, è spesso rappresentato cone in mano una pesca dorata, un frutto che, secondo una leggenda antica, maturerebbe solo ogni 3000 anni.

In Cina, il pesco è da sempre considerato l’albero dell’immortalità, e il suo frutto è diventato un potente simbolo di buon auspicio, ricchezza e longevità.


La pesca ha un’antica storia di diffusione: originaria della Cina, giunse in Persia e, da lì, raggiunse l’Europa. Secondo alcune fonti, arrivò a Roma già nel I secolo a.C., mentre si diffuse nell’intero Mediterraneo grazie ad Alessandro Magno. Curiosamente, il nome “pesca” deriva proprio dal termine “Persia”, terra da cui questo frutto veniva inizialmente importato. Ancora oggi, in molti dialetti italiani troviamo tracce di questa origine etimologica: ad esempio, il termine persica in romanesco o persiga in genovese.

 

Frutto estivo per eccellenza, la pesca, in natura, si distingue per le numerose varietà, dono della biodiversità dell’area mediterranea. Ciascun tipo si distingue per forma, consistenza, colore e sapore.

  • Nettarina o pesca noce, dalla polpa bianca o gialla, con pelle liscia e tendente al rosso. In Emilia-Romagna questa varietà è oggi certificata come Nettarina di Romagna IGP (indicazione geografica protetta.

 

  • Merendella: pelle liscia, di un colore tra il bianco e il verde, è un frutto nato dall’unione tra la pesca e la mela. È un varietà pregiata, coltivata solo in Calabria.

 

  • La percoca, con polpa gialla attaccata al nocciolo e pelle gialla, a tratti striata di rosso o verde. È riconosciuta come PAT (prodotto alimentare tradizionale) in Campania e in Puglia. Viene spesso consumata immersa nel vino rosso.

 

  • La pesca gialla, con polpa carnosa e pelle vellutata.

 

  • La pesca bianca, con polpa bianca e presenza di filamenti, pelle rossastra. È una tipologia tardiva.

 

  • Saturnina o pesca tabacchiera: dalla forma schiacciata e dal sapore deciso, viene coltivata alle pendici dell’Etna. Grazia alla sua spiccata dolcezza, viene utilizzate per preparare granite e gelati.

 

  • La pesca di Bivona o Montagnola, con polpa bianca e pelle giallo-verde-bianca, è una particolare varietà prodotta a Bivona, in provincia di Agrigento. Da poco, è entrata nelle cultivar certificati come Bivona IGP (indicazione geografica protetta).

 

Oltre alla sua irresistibile consistenza e ad un gusto squisito, le pesche vantano straordinarie proprietà benefiche. Sono frutti ipocalorici ma ricchi di vitamine (A, B1, B2, C, K, E, PP) e minerali come fosforo, magnesio, manganese, zolfo, potassio e ferro, che contribuiscono al benessere generale del nostro organismo.

Si utilizza anche nella cosmesi naturale sotto forma di maschere per il viso, come shampoo o bagnoschiuma, grazie alle sue proprietà emollienti e nutrienti

 

Oggi, vi proponiamo di cimentarvi nella produzione di maschere per il viso fai da te. Lasciamo il grembiule in cucina e dedichiamoci alla nostra pelle per renderla liscia come una pesca.


Maschera nutriente per il viso

 

Ingredienti

  • 1 pesca matura
  • 1 cucchino di olio extravergine d’oliva

Pelate una pesca matura e riducete la polpa in crema aiutandovi con una forchetta o un frullatore.

Mettete il composto in un piattino e aggiungete un cucchiaio d’olio extravergine d’oliva. Mescolate fino a ottenere un composto omogeneo.

Applicate sul viso pulito, distribuendo il prodotto con cura. Lasciate in posa per 15-20 minuti, quindi risciacquate con acqua tiepida.  

Questa maschera, semplice e veloce da preparare, lascerà la vostra pelle vellutata, nutrita e luminosa.  

 


Maschera riequilibrante per capelli grassi

 

Ingredienti

  • 2 pesche
  • 1 cucchiaio di argilla verde (o 1 cucchiaio di yogurt bianco)
  • Succo di ½ limone

 

Pelate le pesche e schiacciate la polpa in un piattino.

Aggiungete il succo di mezzo limone e un cucchiaio di argilla verde (o yogurt) e mescolate fino a ottenere una pasta uniforme.

Applicate sui capelli umidi prima dello shampoo, distribuendo il prodotto sul cuoio capelluto e sulle lunghezze. Lasciate in posa per 20-30 minuti.

Dopo lo shampoo, noterete subito un cuoio capelluto rinvigorito e liscio come la seta.

 


Con queste ricette, la pesca si conferma non solo un frutto delizioso ma anche un alleato prezioso per la nostra bellezza e salute.

Cosa si mangia il 1° Maggio?
Cosa si mangia il 1° Maggio?

Un po' di Storia

 

La Festa dei Lavoratori, istituita in occasione della Seconda Internazionale di Parigi del 1889, si celebra, ogni anno, il 1º maggio in numerosi paesi del mondo, per commemorare le lotte per i diritti dei lavoratori e le conquiste ottenute nel tempo.

 

Il cammino verso la dignità sul lavoro cominciò negli Stati Uniti, dove il 1º maggio 1867, nello Stato dell’Illinois, fu approvata una legge che introdusse, per la prima volta, la giornata lavorativa di otto ore. A Chicago, circa 10.000 operai sfilarono per le strade rivendicando la riduzione dell’orario di lavoro da 12 a 8 ore, una richiesta nata dalla necessità di porre fine alle condizioni lavorative estenuanti.

 

Pochi anni dopo, sempre a Chicago, il 1º maggio 1886, migliaia di lavoratori scesero nuovamente in piazza.  La protesta, che avrebbe dovuto essere pacifica, degenerò: durante uno sciopero nella fabbrica McCormick, la polizia aprì il fuoco sui manifestanti. Nei giorni successivi, durante un comizio in piazza Haymarket, l’esplosione di una bomba causò ulteriori morti e feriti. Le repressioni furono feroci, culminando nell’impiccagione di alcuni attivisti, che passarono alla storia come i "martiri di Chicago".

 


In Italia, la giornata lavorativa di otto ore fu introdotta solo nel 1919. Durante il regime fascista, la Festa dei Lavoratori fu soppressa, ma venne ripristinata ufficialmente con la proclamazione della Repubblica, diventando un simbolo di libertà e giustizia sociale.

 

Cibo e 1º Maggio: Tradizioni Locali



Sebbene il 1º maggio non sia legato a tradizioni gastronomiche condivise su scala nazionale, il cibo occupa comunque un ruolo importante, spesso associato a momenti conviviali e gite fuori porta. Tra le immagini più tipiche ci sono grigliate all’aperto, con carne, pesce o verdure, torte rustiche, panini e piatti semplici.


Tuttavia, in alcune regioni italiane, il 1º maggio è celebrato con piatti tradizionali dal forte valore simbolico e storico.

 

  • A Roma e Lazio, la festa implica scampagnate con annessa abbuffata di fave e pecorino. In particolare, le fave celebravano la dea Flora, protettrice della natura e della rinascita. Il pecorino si lega e viene generalmente associato a questo territorio. Oggi, questo ingrediente di tante ricette è infatti certificato come Pecorino Romano D.O.P. (denominazione di origine protetta).

 

  • A Teramo protagonista è il piatto delle Virtù, una ricca zuppa che mescola legumi secchi e freschi, circa venti varietà di verdure, cotenne e pasta all’uovo. Originariamente un piatto “di recupero” oggi è una prelibatezza celebrativa della primavera.

 

  • A Leni, sull’isola di Santa Marina Salina, per il primo maggio si prepara la tipica “tavuliata”, una tavolata per i poveri durante la quale ai fedeli viene offerta soprattutto pasta con ceci e legumi vari. L’origine religiosa si questa celebrazione si deve a Papa Pio XII, il quale il 1° maggio istituì la festa di San Giuseppe artigiano, per far sì che la Festa del Lavoro potesse essere condivisa anche dai cattolici.

 

  • A Montemaggiore Belsito (Palermo), invece, si può gustare “la ghiotta”: antipasto preparato con più di dodici ingredienti, tra verdure e frutta secca.

 

  • A Forlì, il primo maggio coincide anche con la festa del Santo Patrono della città che si celebra con la Sagra dei Cedri, un’occasione per gustare prelibatezze a base di questo agrume.

 

  • In provincia di Tuoro (Sardegna), c’è la festa di San Francesco a Lula. In onore del santo si mangia il su filindeu, una minestra cotta nel brodo di pecora e condita con formaggio, ed il su zurrette, un sanguinaccio.

 

  • A Volterra (Toscana) non c'è 1° maggio senza trippa al sugo, un piatto che rende omaggio ai lavoratori delle cave di alabastro. La trippa è servita insieme a baccelli, formaggi, affettati e vino, ma attenzione: questa colazione abbondante si consuma di prima mattina, per iniziare la giornata con energia!

 


Buon 1° maggio a tutti!

 

La Festa dei Lavoratori è una giornata di riflessione, condivisione e convivialità. Che sia attraverso una passeggiata in mezzo alla natura, una ricca grigliata tra amici o una celebrazione delle tradizioni locali, è un momento per ricordare il valore del lavoro e le conquiste sociali che hanno migliorato le nostre vite.

Carbonara Day -  Il Raviolo Aperto di Gualtiero Marchesi
Carbonara Day - Il Raviolo Aperto di Gualtiero Marchesi

Oggi, in tutto il mondo, si celebra il Carbonara Day, una festa internazionale dedicata a uno dei piatti simbolo della cucina italiana: la Carbonara.

 

Istituita dall’Unione Italiana Food e dall’International Pasta Organisation, questa giornata è un’occasione per celebrare la creatività e l’eccellenza della nostra tradizione culinaria. 

Per rendere omaggio a questa ricorrenza, vi proponiamo una rivisitazione gourmet della carbonara, firmata da Monica Martino, autrice del blog Esperimenti in cucina – Una biologa ai fornelli. La sua reinterpretazione si ispira alla filosofia della “nuova cucina italiana” di Gualtiero Marchesi, celebre per la capacità di scomporre e reinterpretare i piatti, esaltando ogni ingrediente nella sua unicità.

 

Il risultato è il raviolo aperto alla carbonara, un piatto che combina due sfoglie di semola, un cuore cremoso di carbonara e il guanciale croccante. La decorazione riprende gli ingredienti del ripieno, sottolineando l’identità prorompente di questa icona gastronomica. 

 

Ingredienti Per La Sfoglia (per 10 ravioli grandi)

 

  • 100 g di semola di grano duro macinato a pietra
  • Acqua a temperatura ambiente q.b.
  • Pepe misto creola grattugiato al momento q.b.

 

Ingredienti per il ripieno e la decorazione

 

  • 5 tuorli d’uovo a pasta gialla
  • 100 g di Pecorino Romano DOP grattugiato + altro per la crema alla gricia
  • 150 g di guanciale (possibilmente di Amatrice o di Norcia)
  • Pepe misto creola grattugiato al momento q.b.
  • Scaglie di Pecorino Romano DOP

 

INIZIAMO!

 

1, Preparare la sfoglia

 

Disponete la semola su una spianatoia, creando un cratere al centro. Aggiungete un po’ d’acqua e pepe nero macinato. Mescolate con una forchetta e lavorate fino a ottenere un panetto omogeneo. Avvolgete l’impasto nella pellicola da cucina e lasciatelo riposare per circa 30 minuti.

 

2. Preparare il guanciale

 

Tagliate il guanciale a listarelle, ricavando anche dei “petali” per la decorazione. Rosolate in padella fino a renderlo croccante, raccogliendo il grasso rilasciato.

 

3. Preparare la crema carbonara

 

In una ciotola, mescolate i tuorli con il Pecorino e il pepe. Aggiungete 2/3 del grasso caldo del guanciale e amalgamate fino a ottenere una crema liscia. Tenete in caldo.

 

4. Preparare e cuocere la sfoglia

 

Dividete l’impasto in due e stendetelo con il mattarello. Passate la sfoglia nella macchina per la pasta fino a uno spessore di circa 3 mm. Ritagliate dei quadrati grandi con un coppapasta o un coltello. Portate a ebollizione una pentola d’acqua salata e scottate brevemente le sfoglie dei ravioli. Intanto in una ciotolina, unite il pecorino e il pepe con poca acqua di cottura, creando una crema alla gricia densa.

 

5. Assemblare il piatto

 

Scaldate le sfoglie in padella con il grasso del guanciale per renderle lucide.

Su un piatto caldo, spalmate un velo di crema alla gricia e adagiate una sfoglia. Aggiungete un cucchiaio di crema carbonara e qualche listarella di guanciale croccante. Sovrapponete una seconda sfoglia ruotata di 90° per formare una “stella” a otto punte. Decorate il piatto con pennellate di crema carbonara, petali di guanciale e scaglie di Pecorino.

 

Ultimate con strisce di crema alla gricia e una spolverata di pepe fresco.

 

 

 

Tips & Abbinamenti

Consigliamo di accompagnare il raviolo aperto di Carbonara con un Frascati superiore DOCG, un vino di grande intensità ed eleganza, come la ricetta che vi abbiamo proposto.

“Koulourakia” -  I Tipici Biscotti Greci Pasquali
“Koulourakia” - I Tipici Biscotti Greci Pasquali

Per l’ultimo articolo dedicato alla settimana di Pasqua, vi portiamo in Grecia, sfidandovi a cimentarvi in una preparazione culinaria oltremare.

 

Koulourakia sono biscotti tradizionali della Pasqua ortodossa, perfetti per una colazione speciale o per arricchire la tavola della domenica di festa.

 

Questi deliziosi dolcetti, dal sapore ricco e avvolgente, sono preparati con burro, aromatizzati alla vaniglia e all’arancia, e spesso decorati con mandorle, semi di sesamo o frutta secca.

 


Secondo la tradizione, i koulourakia si preparano il Giovedì Santo, giornata in cui le uova vengono tinte di rosso – come abbiamo visto per le Tintole triestine - un simbolo della Resurrezione di Cristo.

 

Un’antica leggenda narra che Pietro, incredulo sulla Resurrezione, disse che vi avrebbe creduto solo se le uova nel paniere di Maria Maddalena fossero diventate rosse. E così accadde.

 

Ας ξεκινήσουμε! - Iniziamo!

 

Ingredienti

 

  • 450 g di farina
  • 225 g di burro morbido
  • 225 g di zucchero semolato
  • 1 bicchiere grande di spremuta d’arancia
  • 1 bacca di vaniglia
  • 3 uova
  • 3 cucchiai di latte
  • La scorza grattugiata di un limone biologico
  • 1 cucchiaino raso di bicarbonato
  • 1 cucchiaino raso di lievito vanigliato
  • Semi di sesamo q.b.
  • Perline colorate q.b.

 

Preprazione

 

1. Lasciate il burro a temperatura ambiente fino a renderlo morbido e lavoratelo a crema insieme allo zucchero, fino a ottenere un composto soffice e spumoso.

Aggiungete due uova, i semini raschiati dalla bacca di vaniglia e la scorza grattugiata del limone.

In una ciotola, sciogliete il bicarbonato nella spremuta d’arancia e unite il liquido all’impasto. Mescolate accuratamente.

Mischiate la farina con il lievito e incorporatela gradualmente al composto, lavorandolo fino a ottenere un impasto morbido e omogeneo.

 

2. Formate una palla, copritela con pellicola trasparente e lasciatela riposare in frigorifero per circa 1 ora.

 

3. Riprendete l’impasto e dividetelo in piccoli pezzi. Su una spianatoia leggermente infarinata, formate dei cordoncini lunghi circa 15 cm. Date ai biscotti forme tradizionali, come trecce, cerchi o figure a 8. Trasferite i koulourakia su una teglia rivestita con carta forno.

 

4. Sbattete il tuorlo dell’uovo rimasto con il latte e spennellate i dolcetti. Decorateli con i semi di sesamo e le perline colorate o, in alternativa, con scaglie di mandorle.

 

5.Preriscaldate il forno a 180°C. Quando sarà caldo, infornate i biscotti e abbassate la temperatura a 170°C. Cuocete fino a quando i Koulourakia saranno leggermente dorati: devono rimanere morbidi e friabili, non biscottati.

 

 

 Tips & Abbinamenti: I Koulourakia sono ideali per essere serviti durante la colazione o il tè pomeridiano. Se volete rispettare la tradizione greca, accompagnateli con caffè greco o con un liquore dolce. Inoltre, per una versione ancora più aromatica, potete aggiungere un pizzico di cannella all’impasto.