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Katmer: Il Pane Turco
Katmer: Il Pane Turco

Mi piace tantissimo fare il pane in casa e, almeno la domenica che ho più tempo a disposizione, mi diletto e impasto sempre qualche pane speciale.


Questo pane turco mi ha affascinato fin da subito perché non solo è scenografico e davvero bellissimo da vedere, ma è ottimo anche da servire se avete ospiti e perfetto come idea per un centro-tavola natalizio, ora che si avvicinano le feste. Ha un sapore davvero delizioso!


Crosticina croccante e sofficissimo al suo interno come piace a me. Eccovi la ricetta:


Ingredienti

  • 200 g di farina 0 per pizza
  • 300 g di farina di semola rimacinata
  • 12 g di lievito di birra fresco (mezzo cubetto)
  • 175 g di latte
  • 125 g di yogurt greco
  • 10 g di sale fino
  • 6 cucchiai di olio extra-vergine di oliva
  • 40 g di burro
  • semi di sesamo q.b.
  • 1 tuorlo d’uovo per spennellare

 

Procedimento

  • In una caraffa mescolate il latte leggermente intiepidito con lo yogurt e scioglietevi delicatamente il lievito.
  • Setacciate le farine e il sale, disponetele a fontana su una spianatoia, e versatevi delicatamente al centro il contenuto della caraffa appena preparato. Ora impastate sommariamente aiutandovi con una forchetta, aggiungete l’olio e continuate ad impastare fino ad ottenere un impasto liscio e compatto. Formate una palla. Oliate un recipiente sufficientemente alto per contenere l’impasto una volta raddoppiato di volume, e disponetevi delicatamente al suo interno l’impasto. Copritelo e lasciatelo raddoppiare di volume in un luogo senza correnti d’aria e possibilmente al caldo. Potete anche lasciare maturare in frigo tutta la notte,  e formare il giorno seguente tirate fuori dal frigo, lasciate acclimatare l’impasto e dopo il suo raddoppio procedete con la formatura del pane.
  • Dividete l’impasto in 5 palline, 1 tenetela da parte, le altre 4 stendetele con l’aiuto del mattarello formando dei cerchi il più possibile regolari (altrimenti aiutatevi ritagliandoli con una tortiera tonda) e sovrapponeteli dopo averli spennellati con il burro fuso, fino ad avere una torretta di “piadine”.
  • Ora stendete ancora un po’ con il mattarello schiacciando un po’ le sfoglie per compattarle. Fate 4 incisioni a croce sulle sfoglie, per dividerle in 8 spicchi, ma senza arrivare fino al bordo. Lasciate circa 2 cm dal bordo.
  • Ora partendo dalla punta di ciascuno spicchio ottenuto formate una sorta di asola: con una rotella tagliapasta fate un taglio centrale, che non sezioni però tutto lo spicchio, lasciate 1 centimetro dalla punta e alla base dello spicchio. Prendete la punta di ciascuno spicchio e rigiratela all’interno dell’asola tirandola verso l’esterno, per formare una sorta di “sole”. Procedete allo stesso modo per ogni spicchio.
  • La spiegazione grafica l’ho trovata qui. Otterrete una corona al cui interno farete lievitare la pallina rimasta. Coprite e lasciate lievitare ancora per circa 1 ora.
  • Formata la corona, spennellatela con un tuorlo d’uovo sbattuto, cospargete di semi e cuocete in forno già caldo a 200 gradi per i primi 15 minuti e poi abbassate il forno a 180 gradi e cuocete per altri 15-20 minuti fino a doratura. Lasciate raffreddare e servite ben disposto in un piatto da portata.
Calamarata con Anelli di Totano su Crema di Fagioli
Calamarata con Anelli di Totano su Crema di Fagioli

Vi consiglio vivamente di provare questa ricetta perché è davvero strepitosa!


Non so se capita anche a voi, ma quando andiamo a mangiar fuori, annoto con grande perizia i piatti dei ristoranti che più mi piacciono e tento di riprodurli. Ecco, questo è uno di quei piatti, assaggiato in un rinomato ristorante di pesce di Torino, di un’eleganza e di un equilibrio al palato davvero godurioso.


Era da tempo che avevo in mente di rifarla e aspettavo solo l’occasione giusta, complice un pacco di pasta di elevatissima qualità.


Fossi in voi mi fiderei: provatela!


In ogni caso mentre voi meditate sul da farsi, comincio a lasciarvi la ricetta…


Ingredienti

(dosi per 4 persone)

  • 280 g di Pasta calamara Daunia & Bio
  • 400 g di fagioli cannellini già cotti
  • 500 g di anelli di totano
  • 1 spicchio d’aglio
  • 1 bicchierino di brandy
  • 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
  • 1 abbondante manciata di prezzemolo fresco
  • 1 pizzico di paprika dolce
  • olio extra vergine di oliva q.b.
  • sale marino integrale q.b.

 

Procedimento

  • Per prima cosa fate cuocere la pasta, perché ci vorrà del tempo. Vi assicuro che questa calamarata è davvero squisita, una pasta preparata con un ottimo grano duro Senatore Cappelli con 20-22 minuti di cottura, credo di avervi già detto tutto: una poesia.
    Mentre cuoce la pasta preparate i condimenti che vedrete, si sposeranno alla perfezione, rendendo questo piatto di pasta cremoso e davvero equilibrato.

 

Per il condimento con anelli di totano al pomodoro:

  • In un tegame a bordi alti far soffriggere per un paio di minuti gli anelli di totano con uno spicchio d’aglio, quindi sfumare con un po’ di brandy, aggiungere un cucchiaio di concentrato di pomodoro, del prezzemolo fresco e qualche cucchiaio d’acqua di cottura della pasta. Quindi incoperchiare e portare a cottura per non più di 5 minuti in modo che restino morbidi, se infatti ne prolungate eccessivamente la cottura, gli anelli di totano resteranno duri. Aggiustare di sale e tenere da parte.

 

Crema di cannellini: 

  • Frullare i cannellini con qualche cucchiaio di olio extravergine d’oliva, una presa di sale e un paio di cucchiai di acqua di cottura della pasta. Aggiustare se occorre con ancora un pochino di acqua di cottura, fino ad ottenere una crema dalla consistenza fluida ed omogenea.
    Sistemare la crema di cannellini sul fondo dei piatti, aggiungere la paprika e un filo di olio a crudo.
    Non appena è cotta la pasta, scolarla bene e aggiungerla nel tegame con i totani. Farla saltare per due minuti finché sia ben insaporita. Ora con l’aiuto di un mestolo sistemare la pasta così mantecata nei piatti, appoggiandola sulla crema di cannellini già preparata. Completare il piatto con una bella manciata di prezzemolo fresco e servire subito.

 

Se la provate fatemi sapere se vi piace, a noi è piaciuta moltissimo.

Malloreddus alla Campidanese
Malloreddus alla Campidanese

I malloreddus sono una delle paste simbolo della Sardegna, conosciutissimi anche nel resto d’Italia, dove vengono chiamati “gnocchetti sardi”.


Il loro nome deriva da malloru (toro), e i malloreddus sono i “vitellini”, poiché la loro forma richiama, metaforicamente, quella dell’animale.


A seconda della zona, vengono chiamati anche in altri modi: nel sassarese sono chiamati cigiones o ciciones, nel nuorese cravaos, nel Logudoro macarone caidos e macarone de punzu.


Si possono preparare nella versione classica, con farina di semola e acqua, oppure arricchiti con zafferano o spinaci tritati.


Questa che ho preparato è la versione campidanese, dal nome della più vasta pianura della Sardegna, che è uno dei piatti più rappresentativi dell’isola.


I malloreddus vengono conditi con il classico sugo a base di pomodoro e salsiccia, arricchito con un tocco di zafferano, da aggiungere all’impasto, direttamente nel sugo, o anche in tutti e due.


Lo zafferano pare sia giunto in Sardegna con i Fenici, che approdarono sull’isola più di duemila anni fa, provenienti dal Medio Oriente.


Ma è il grano il vero tesoro locale. Fin dai tempi dell’Impero romano, la Sardegna era chiamata “il granaio di Roma” e i sardi che vivevano nella piana del Campidano producevano metà del grano che serviva a sfamare tutto l’esercito romano.


Per rispettare appieno la tradizione scriverò anche il procedimento per preparare i malloreddus così come me lo ha insegnato mia madre, a cui lo ha insegnato a sua volta mia nonna, ovviamente entrambe figlie della splendida terra di Sardegna.

 

Ingredienti

(dosi per 4 persone)

Per i malloreddus:

  • 400 g di semola fine
  • 200 ml di acqua tiepida (può variare in base all’umidità della semola)
  • 1 bustina di zafferano in polvere
  • 2 g di sale fino

 

Per il sugo:

  • 350 g di salsiccia fresca con i semi di anice
  • 500 g di pomodori maturi
  • 1 pizzico di zafferano Nuraghe Ruju Azienda Agricola
  • 1 cipolla
  • 1 spicchio d’aglio
  • 3 fogli d’alloro
  • olio extravergine d’oliva q.b.
  • sale q.b.

 

Di finitura:

  • pecorino Sardo Dop maturo q.b.

 

Procedimento

  • Scaldate leggermente l’acqua, toglietela dal fuoco e scioglietevi lo zafferano, meno un pizzico che servirà per il sugo.
  • Mettete la semola e il sale in una ciotola, fate un buco al centro e versate metà dell’acqua con lo zafferano. Iniziate ad impastare e aggiungete il resto dell’acqua poco alla volta. Potrebbe essere necessario aggiungerne ancora un poco o, al contrario, metterne di meno (dipende dall’umidità della semola).
  • Versate il tutto su di una spianatoia e lavorate fino a ottenere un impasto liscio ed omogeneo. Formate una palla e coprite con un canovaccio umido o con della pellicola da alimenti. Lasciate riposare per 30 minuti.
  • Coprite un ampio vassoio con un canovaccio e spolveratelo di semola.
  • Prendete un pezzetto d’impasto, rotolatelo sulla spianatoia e formate un salsicciotto non troppo spesso. Tagliate dei pezzetti lunghi al massimo 1 cm poi passateli sui rebbi di una forchetta o sull’apposito attrezzo esercitando una leggera pressione.
  • A mano a mano che li preparate, mettete gli gnocchetti sul vassoio. Continuate così fino ad esaurire l’impasto. Spolverate i malloreddus con la semola mista a un pochino di farina e lasciate asciugare per 24 ore, senza coprire.
  • Pelati i pomodori, eliminate i semi e tagliateli a cubetti.
  • Spelate la salsiccia e sbriciolatela un pochino.
  • Scaldate 4 cucchiai d’olio in una padella, unite la cipolla pulita e tagliata a cubetti e lo spicchio d’aglio, e fate stufare dolcemente per qualche minuto.
  • Unite la salsiccia e fate rosolare per 10 minuti.
  • Aggiungete i cubetti di pomodoro, il sale, lo zafferano rimasto, le foglie d’alloro e fate cuocere per circa 1 ora. Se dovesse asciugarsi troppo aggiungete un pochino di acqua tiepida. Cuocete i malloreddus in abbondante acqua salata, scolate e condite con il sugo.
  • Spolverizzate di Pecorino Sardo Maturo e servite.
Fusilli Girolomoni con pomodoro nero di Crimea e melanzane
Fusilli Girolomoni con pomodoro nero di Crimea e melanzane

"Mangiare non è soltanto trasformare o cuocere il cibo: è dono, spiritualità, amicizia, fraternità, bellezza, calore, sapienza, profumo, semplicità, compagnia". Questo è uno dei tanti aforismi di Gino Girolomoni, fondatore dell’omonima cooperativa che produce pasta biologica seguendo un’etica cristiana: amore e rispetto per il pianeta e le persone che la abitano.

 


Oggi condiamo la pasta Girolomoni con melanzane a tocchetti, fiordilatte e pomodori neri di Crimea che, in realtà, proprio neri non sono. Il loro colore particolare, tra il  marrone e il verde scuro, è dato dall'elevata concentrazione di licopene, uno degli antiossidanti più potenti presenti in natura, e i pomodori neri ne contengono molti di più rispetto ai rossi.

 


Ingredienti

  • 500 g di Fusilli Girolomoni
  • 500 g di pomodori neri di Crimea
  • 2 melanzane medie tipo campania
  • 100 g di fiordilatte
  • Olio extra Vergine di Oliva Goccia di Sole  
  • Basilico
  • 1 Spicchio di Aglio
  • Sale q.b.

 

Procedimento

  • Lavate e asciugate i pomodorini neri di Crimea; tagliateli a metà. In una padella, scaldate l’olio extra vergine di oliva Goccia di Sole e uno spicchio di aglio schiacciato. Fate soffroggere per poi unire i pomodori neri di Crimea, adagiandoli con il lato tagliato nell’olio.
  • Cuocete a fuoco basso per 6-7 minuti circa e aggiungete il sale. Togliete la padella dal fuoco e coprite con un coperchio ermetico. Questo procedimento permette al pomodoro nero di Crimea di proseguire la cottura. Dopo 15 minuti, pelate la buccia dei pomodori.
  • Lavate le melanzane, tagliatele a cubetti e friggetele in una padella con poco olio extra vergine di oliva, qualche fogliolina di basilico e sale q.b. Se necessario coprite con un coperchio per terminare la cottura. Amalgamate, infine, le melanzane con i pomodori neri di Crimea preparati in precedenza.
  • Preparate in una ciotola il fior di latte in tanti piccoli fiocchi.
  • Portate a ebollizione una pentola di acqua calda, aggiungete il sale e buttate i fusilli Girolomoni. Dopo circa 9 minuti, scolate la pasta e unitela al condimento di melanzane e pomodori neri di Crimea. Completate il piatto aggiungendo a cascata i fiocchi di fiordilatte e servite sul piatto, guarnendolo con qualche fogliolina di basilico.

 

Il fusillo è servito: buon appetito!

Sciroppo di Fichi
Sciroppo di Fichi

Grazie al suo alto contenuto energetico, il fico fa parte di quei frutti ideali da consumare a colazione o come merenda.

Tuttavia, quando è ben maturo, è possibile trarre vantaggio dalla sua ineguagliabile dolcezza per preparare anche uno sfizioso aperitivo, avvolgendo il frutto in una morbida fetta di prosciutto crudo.

Ma vogliamo parlare dei fichi secchi? Sono talmente buoni che uno tira l’altro! Occhio però: bisogna essere cauti e cercare di trattenersi poiché contengono molte più calorie del frutto fresco (249 Kcal per 100 g). Meglio consumarli come spuntino energetico o prima di compiere attività sportiva.

Forse non sapevate che il fico secco è anche un ottimo rimedio naturale contro la tosse: esso, infatti, può essere utilizzato per preparare uno sciroppo in grado di sciogliere il muco e ridurre il mal di gola.

Come si prepara? Semplice!

La ricetta dello Sciroppo di fichi

  1. In mezzo litro di acqua, fate bollire una ventina di fichi secchi tagliati a metà insieme a 200 grammi di miele (anch’esso dalle notevoli proprietà espettoranti e battericide).
  2. Trascorsi 20 minuti, filtrate il composto e trasferitelo in una boccetta di vetro.


Lo sciroppo è pronto: assumetene un cucchiaio all’occorrenza!

Vi ricordiamo che questo rimedio non si sostituisce ad eventuali e necessarie cure mediche e che ha un alto contenuto calorico: essendo molto buono, non fatevi tentare esageratamente!

Fasuoli cu l'Accia (Fagioli con il Sedano)
Fasuoli cu l'Accia (Fagioli con il Sedano)

Ingredienti
(dosi per 4 persone)

300 gr di fagioli cannellini in scatola
2 cipolline bianche
4 gambe di sedano
rosmarino fresco tritato
brodo vegetale o acqua
olio evo
sale q.b.
pepe q.b.

Procedimento
Mettete tutti gli ingredienti a freddo in un tegame con un filo di olio evo e lasciate insaporire per un paio di minuti. Aggiustate di sale e aggiungete un paio di mestoli di brodo facendo cuocere per una mezz’oretta. I fagioli dovranno un pochino sfaldarsi creando una sorta di cremina.Servite la zuppa con un filo di olio a crudo, una macinata di pepe e del pane caldo!

Polpette Napoletane Fritte
Polpette Napoletane Fritte

Le polpette di carne fanno parte della tradizione contadina.

 

Un tempo le polpette erano considerate un piatto povero, nato per riciclare gli avanzi. Gli scarti della carne di vitello, infatti, venivano impastati con uova e pane raffermo e cotti in varie maniere. Oggi, invece, grazie alla scelta di ingredienti di qualità è diventato uno dei piatti più consumati in assoluto!

 

Ingredienti

  • 400 g di macinato di vitello
  • 4 uova
  • 1 spicchio d’aglio
  • 180 g di pane raffermo (peso del pane ammorbidito e strizzato)
  • 30 g di parmigiano
  • sale
  • pepe
  • basilico
  • Per friggere:
  • 1 spicchio d’aglio
  • olio extra vergine di oliva

 

Procedimento

  • In una zuppiera mettere a bagno, in acqua, il pane raffermo e lasciatelo dentro per quindici minuti.
  • Trascorso il tempo, separate la crosta dalla mollica e quest’ultima strizzatela prima con le mani e poi con l’aiuto di uno schiacciapatate in modo da eliminare tutta l’acqua.
  • In un’altra zuppiera ponete la carne con il tuorlo d’uovo, il sale, il pepe, il basilico, l’aglio tagliato finemente e l’albume d’uovo sbattuto a parte; amalgamate il tutto.
  • Unite al composto il pane ridotto a piccole briciole (strofinare il pane tra le mani) e il parmigiano. Impastate con le mani finchè gli ingredienti risultino ben legati.
  • Con le mani leggermente umide prendere un po’ di impasto per volta (circa 40 g ) e formare delle polpette.
  • In una padella a fuoco lento mettete l’olio extra vergine di oliva e lo spicchio d’aglio in camicia schiacciato; appena l’aglio inizia a soffriggere, cuocete le polpette rigirandole bene da tutti i lati.
  • Servite le polpette in contenitori per finger food.
L’alimentazione kosher, tra salute e rispetto religioso
L’alimentazione kosher, tra salute e rispetto religioso

Articolo della dott.ssa Monica MartinoMonica Martino
Biologa e Consulente per aziende agroalimentari
e Food Blogger.

E-mail: info@bionutrichef.it
Blog: Esperimenti in cucina. Una biologa ai fornelli
FB: Esperimenti in cucina. Una biologa ai fornelli
IG: @bionutrichef

 

Alla scoperta delle cucine del mondo


L’alimentazione kosher, tra salute e rispetto religioso.


Secondo Max Weber, il cibo è uno dei fulcri intorno ai quali si sono sviluppate comunità e di conseguenza etnie, culture e religioni. Una realtà intrinsecamente anche politica, capace di modellare identità e tramandare memorie condivise. Nello stesso tempo crea anche “confini”: la diversità alimentare, specialmente se legata a dettami religiosi, può generare identità distinte e separate ma anche una pluralità di scelte e pratiche “interna” a ciascuna comunità, andando quindi al di là di qualunque stereotipo. Dello stesso avviso anche altri studiosi come Roland Barthes, Claude Levi-Strauss, Mary Douglas, Pierre Bourdieu e Jack Goody.

 

Uno degli esempi di stretta correlazione tra cibo e precetti religiosi lo troviamo nella religione ebraica, una delle più antiche tra le religioni monoteiste. La religione ebraica può essere definita come un’ortoprassia, un agire secondo le regole, e si manifesta attraverso la riflessione spirituale e le azioni quotidiane, permeando ogni aspetto della vita compresi i comportamenti di consumo: il cibo che si mangia, i momenti in cui ci si lava, i vestiti che si indossano, il modo di affrontare il proprio lavoro, i rapporti con il prossimo… tutto questo e altro diventano un’espressione dell’identità ebraica non meno della preghiera o delle celebrazioni festive. Queste regole, tra cui spiccano importanti norme igieniche e alimentari, si sono mantenute praticamente immutate nel corso dei secoli.

 

A cavallo tra lo scorso anno e quello attuale si è molto parlato della serie televisiva israeliana “Shtisel”, centrata su una famiglia di ebrei ultra-ortodossi che vive nel quartiere di Geula a Gerusalemme, riscontrando un ottimo successo di ascolti anche in Italia e un conseguente interesse verso la cultura e le tradizioni ebraiche. In questo articolo approfondiremo il rapporto degli ebrei osservanti nei confronti del cibo con i richiami ai precetti religiosi che influenzano la scelta degli alimenti e la loro preparazione.

 

 

Norme igieniche e alimentari

Gli ebrei rappresentano uno dei pochi popoli che hanno conservato la propria identità grazie, probabilmente, alla religione che detta una serie di norme e principi volti a regolare tutti gli aspetti della vita quotidiana, tra cui le norme igieniche e alimentari, che si sono mantenute immutate nel corso dei secoli.

 

La fonte di queste norme è la Bibbia, o meglio l’Antico Testamento, testo fondamentale della religione ebraica. All’interno di questo una parte importantissima è la Toràh o Pentateuco, a sua volta composta da cinque libri (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio), il nucleo della legge della religione ebraica. Molto importante è anche il Talmud, dove sono riportati i commenti e le interpretazioni elaborati dai Maestri sul contenuto della Toràh con approfondimenti riguardo il corretto comportamento da seguire.

 

La religione ebraica, quindi, non è solo culto della salute spirituale e orale ma anche, in maniera non secondaria, della salute fisica. Le leggi alimentari costituiscono un vero e proprio sistema a sé stante e non un semplice un elenco di cosa fare, mangiare e relative restrizioni. La Bibbia indica in modo chiaro quali alimenti mangiare e cosa non deve essere utilizzato per trattare tali alimenti e l’ebraismo insegna a non sottovalutare nemmeno i più piccoli atti e gesti apparentemente insignificanti, perché attraverso questi gesti che l’ebreo praticante vive la propria identità.

 

L’alimentazione diventa quindi un rito, un modo di essere ed agire in rettitudine, uno strumento per aspirare alla perfezione e di affermazione culturale e non più soltanto un modo per sopravvivere o una mera necessità fisiologica. Le leggi alimentari del popolo ebraico sono tra le più antiche che la storia possa ricordare e tradizione vuole che queste siano state consegnate ai discendenti di Abramo da Dio e ancora oggi scrupolosamente osservate. L’insieme di queste leggi è definito nell’accezione Kasherut, ovvero “adatto, giusto, appropriato”.

 

Gli ebrei indicano come Kosher tutti quegli alimenti che sono in accordo con le leggi del Kasherut. Quindi la natura degli alimenti consumati e che, assimilati, diventano parte del corpo stesso possono determinare le caratteristiche dell’individuo; di conseguenza, assumere cibi ‘puri’ (Kosher) permette di mantenere corpo, mente e spirito sani. I cibi non-Kosher sono invece definiti Tarefá, “impuro, sporco, proibito”.

 

Comunque, in casi estremi, anche il cibo proibito può essere assunto purché nel rispetto dei principi di moderazione ed equilibrio che dominano l’approccio ebraico all’alimentazione, quindi l’assunzione di un alimento severamente vietato presuppone solamente uno stato di assoluta necessità. Le regole stabiliscono che cosa è o non è alimento Kosher sono numerose, rigidissime e scrupolose.

 

Gli alimenti permessi nella religione ebraica sono i seguenti:

  • gli animali quadrupedi terrestri ruminanti sani, uccisi rapidamente e sottoposti ad una macellazione rituale;
  • i pesci con pinne e squame;
  • la frutta, la verdura, i cereali e tutti i loro derivati;
  • le uova;
  • il formaggio sottoposto a controllo rabbinico per accertarsi che sia prodotto da caglio vegetale oppure di animale macellato secondo le regole;
  • il vino prodotto da un Ebreo secondo una tradizionale procedura.

 

La regola alimentare del Kasherut è in realtà molto più complessa di quanto sia possibile ricavare da questo breve elenco, soprattutto per ciò che concerne la preparazione e il consumo di carni e latticini, al punto che diversi studiosi delle Sacre Scritture avrebbero intravisto in questa complessità un chiaro messaggio di carattere salutistico: scoraggiare il più possibile l’assunzione di proteine animali a favore di alimenti vegetali, ritenuti più vantaggiosi per la salute e lo spirito dell’essere umano.

 

I divieti fondamentali

Il fulcro delle regole alimentari ebraiche sono cinque divieti inderogabili, che modellano l’intero approccio alla nutrizione e sui quali si indicano le attività di preparazione degli alimenti sia in casa che a livello industriale, come ben spiegato da Riccardo Di Segni nella sua “Guida alle regole alimentari”:

Il divieto di nutrirsi del sangue: nella religione ebraica il sangue ha un elevatissimo valore simbolico perché rappresenta il soffio vitale; ingerirlo vuol dire appropriarsi dell’esistenza di una creatura, che appartiene solo a Dio, ed esporsi alle punizioni divine e ridursi allo stato animale agendo secondo istinti primordiali, replicando ancestrali pratiche idolatriche che usavano il sangue per ingraziarsi le divinità degli inferi. Tale divieto comunque riguarda solo l’impiego del sangue in cucina e non per altri scopi, in primis quelli medici.


Il divieto di cibarsi di alcune parti del grasso dei quadrupedi domestici: risale all’obbligo dell’epoca del Tempio di destinare a uso esclusivamente liturgico alcune parti degli animali sacrificati per ribadire, attraverso la loro sottrazione al consumo, la limitatezza del dominio umano sulle creature viventi; tale divieto riguarda in particolare

  • il consumo del grasso addominale che ricopre alcune parti del tubo digerente, la superficie diaframmatica, la milza e il fegato
  • della capsula adiposa renale (il grasso che avvolge i reni)
  • il grasso dei fianchi

 

Può invece essere consumato il grasso posto all’interno degli organi, delle masse muscolari o tra i muscoli e il grasso degli animali selvatici. Tale divieto impone agli individui di prestare attenzione alla selezione degli animali per mantenere alto il livello di lucidità, soprattutto quando il cibo deriva da un’azione violenta, affinché l’uomo non si abitui alla crudeltà dell’atto e sia consapevole del sacrificio dell’animale e del privilegio ricevuto dal Signore.

 

 

Il divieto di consumare membra tolte ad animali viventi: tale regola non è esplicitamente contemplata dalla Torah scritta, ma appartiene alla consuetudine e richiama la prima norma dettata da Noè ai sui figli dopo il diluvio universale; si mira ad arginare gli atti di mutilazione degli animali, anche precedenti alla macellazione, e impone il rispetto per la sofferenza inflitta e per la vita. Tale divieto trova applicazione nei confronti dei quadrupedi e dei volatili, non delle creature acquatiche.

 

Il divieto di mangiare il nervo sciatico: riveste una grande importanza perché ricorda la lotta, misteriosa e gloriosa, di Giacobbe contro un’entità che al termine del combattimento lo benedice e lo riconosce come Israele. In quest’ottica ha la funzione di mantenere inalterato il ricordo delle offese subite dal popolo ebraico che lo hanno scalfito ma non ne hanno compromesso la sopravvivenza. Tecnicamente il divieto si applica ai quadrupedi e riguarda entrambi i lati del nervo sciatico e del grasso che lo circonda. L’escissione del nervo sciatico è un procedimento molto difficile e complesso che viene effettuato da una specifica figura professionale (menaqqèr). Vista la particolarità dell’operazione in molte regioni si opta per offrire ai consumatori ebrei solo i quarti anteriori, destinando il resto ai non ebrei.

 

Il divieto di mischiare (cucinare e/o mangiare insieme) carne e latte: mescolare cibi besarì (di carne) e halavì (di latte), ripetuto tre volte nella Torah si esprime nel non poter mangiare insieme carne e latte, cucinare insieme carne e latte, anche se non destinati al consumo e trarre qualsiasi giovamento dalla mescolanza fra carne e latte. La proibizione si presta a numerosi.

 

Ciascuno di questi divieti, come si può ben vedere, ha una sua motivazione ben spiegata e nel complesso operano come monito anche etico per la comunità che, nel sacrificare altre creature per la propria sopravvivenza, deve comportarsi in modo consapevole, rigoroso e rispettoso della sofferenza inflitta. La disciplina alimentare interviene, dunque, per reinserire tali azioni nella loro giusta dimensione.

 

Come tutti i precetti ebraici, che spronano a rivestire di sacralità ogni atto della vita quotidiana, anche il cucinare kasher funge da stimolo alla ricerca interiore, favorendo un miglior rapporto nei confronti del suo prossimo e rispetto per la natura e gli animali.

 

 

La Certificazione Kosher

Le restrittive e ferree norme in ambito alimentare per la religione ebraica comportano la necessità di garantire ai consumatori la conformità di cibi pronti a tutte queste prescrizioni.

 

Per questo motivo, è necessario che le aziende si devono dotare di un’apposita certificazione, riconosciuta a livello internazionale, che garantisca ai fedeli che i prodotti che vengono processati e venduti possano essere consumati in tranquillità senza la paura da parte dell’ebreo praticante di violare le prescrizioni della propria religione.

 

L’ebraismo ha bisogno di una certificazione che attesti che i cibi siano conformi alle prescrizioni della Kasherut. Infatti, secondo Certificazione Kosher: “La certificazione Kosher è un servizio offerto alle aziende alimentari orientate al mercato nazionale ed internazionale. Ottenere il certificato Kosher significa produrre alimenti idonei al consumo e conformi alle norme di alimentazione Kosher. […] Questa certificazione risulta essere uno strumento indispensabile per rispecchiare ed indicare la trasparenza nel prodotto che ha conseguito il Kosher. Il consumatore è informato che il prodotto certificato ha sostenuto e superato con successo le rigide procedure di ottenimento. Un prodotto certificato Kosher è quindi, la fase finale di una accurata scelta degli ingredienti utilizzati, con la garanzia della totale assenza di rischi di contaminazione incrociata. Per questo motivo, i consumatori Kosher sono in continuo aumento, appartenendo a tutti i ceti sociali e religiosi, compresi gli intolleranti a diversi alimenti. Un prodotto certificato KOSHER PARVE, è una garanzia per gli intolleranti al latte ed alla carne, così come sarà una garanzia per i musulmani. Un prodotto certificato KOSHER PASSOVER, è una garanzia per i celiaci”.

 

Anche Italy Kosher Union approfondisce ulteriormente l’esigenza della certificazione: “Attualmente, con i mutati ritmi giornalieri che costringono spesso a pasti fuori casa, seguire le complesse procedure di preparazione del cibo secondo le leggi sarebbe piuttosto complicato, pertanto è nata la necessita di prodotti già pronti all’uso certificati Kosher. Tale certificazione è applicabile ad una gran varietà di prodotti, dagli ingredienti da cucina come l’olio d’oliva ad alimenti confezionati, fino ai prodotti dietetici. Essa viene rilasciata da apposite associazioni Rabbiniche, che si avvalgono anche della collaborazione di esperti, ed è indicata sul prodotto da un apposito simbolo o dicitura che identifica il Rabbino certificatore. Perché un prodotto sia certificato Kosher, tuttavia, è necessario che esso soddisfi rigorosissimi standard di qualità e che tutte le procedure di produzione e confezionamento nonché ogni singolo ingrediente utilizzato nella sua preparazione siano conformi alle restrittive leggi del Kasheruth. Il rispetto di queste severe regole [è] verificato periodicamente, da esperti, sul [luogo] di produzione e la certificazione (che ha una scadenza e va periodicamente ripetuta) può essere revocata in qualsiasi momento. L’estrema rigidità di queste norme costituisce una tutela per il consumatore indipendentemente dalla sua religione e, nel tempo, hanno reso la certificazione Kosher un marchio di qualità riconosciuto in tutto il mondo. In alcuni paesi come l’America, infatti, i maggiori consumatori di prodotti Kosher non sono Ebrei, ma persone di qualsiasi religione che ricercano in tale marchio una garanzia di qualità, genuinità e purezza”.

 

La certificazione kosher riguarda esclusivamente il cibo (dalle materie prime ai metodi di produzione al prodotto finito) e dev’essere rilasciata esclusivamente da un ente rabbinico che appone il marchio del rabbino certificatore. Tale certificazione è inoltre periodica e alla scadenza va rinnovata. Tra gli enti certificatori in Italia abbiamo Kosher Italy, il quale ha un programma di certificazione kosher riconosciuto a livello internazionale. La presenza di un ente in Italia è dovuta anche se non soprattutto alla presenza praticamente costante nel tempo della comunità ebraica dal Nord fino al Sud del nostro Paese, isole comprese

 

 

Bibliografia

Ceva E. Il pluralismo alimentare come problema filosofico. Notizie di POLITEIA, XXX, 114, 2014. ISSN 1128-2401 pp. 3-12
Cinganotto M. Le certificazioni nel settore alimentare: la valorizzazione della filiera. Università degli Studi di Padova, 2013
Decimo L. Le influenze religiose nel mercato di beni tra libertà giuridiche ed economiche. Calumet, 2018
Di Segni R. Guida alle regole alimentari ebraiche. Ed. Lamet, Roma 1996
Gatto G., Alimentazione e ritualità nelle tradizioni delle regioni italiane – Purezza, impurità, rischio. SMSR 80 (2/2014) 667-693
Tercatin R. (a cura di) La dieta kasher. Storia, regole e benefici dell’alimentazione ebraica. Ed. Giuntina, Firenze 2015
Toselli E. Kosher, halal, bio – Regole e Mercati. Ed. FrancoAngeli, Milano 2015
Vian A. Accoglienza halal e kosher a Venezia – Religiosità, certificazioni e strutture. Università Ca’ Foscari Venezia, 2016

Cascina DUC: “fatto in casa” non è soltanto un modo di dire…
Cascina DUC: “fatto in casa” non è soltanto un modo di dire…

Un angolo di terra dove passato e presente si fondono, per donare un pezzo di futuro alle prossime generazioni.
Questa meravigliosa cascina risalente al 1790 è situata ai confini tra Torino e Grugliasco, in una delle poche aree verdi ancora esistenti ai confini della città, ma facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici e dall’autostrada, Cascina Duc rappresenta un esempio, tra i pochi ancora “integri” nei dintorni del torinese, di cascina funzionante su attività agricole.


Oltre venti ettari di terreno, coltivati a foraggio, cereali e lavanda, cingono sui quattro lati la palazzina in cui trovano la loro naturale dimora, l’agriturismo con oltre 100 posti a sedere, ed i punti vendita delle produzioni locali.
Nelle stalle, che si affacciano sull’aia centrale, troviamo oltre un centinaio di bovini, allevati con metodi e alimenti naturali e lasciati liberi di pascolare quotidianamente nei dintorni della cascina e la cui carne trovate in vendita presso l’agrimacelleria all’interno della cascina.


La frutta raccolta dagli alberi che da sempre abitano la struttura e quanto stagionalmente prodotto nella porzione di terra coltivata ad orto, rappresentano la naturale materia prima dei piatti cucinati in agriturismo e delle produzioni (confetture, pasta ripiena, conserve, ecc) in vendita presso il Punto Pastificio-Gastronomia insieme al miele prodotto dalle loro api. La coltivazione della lavanda è un altro dei cardini di quest’agriturismo, i filari di questa profumatissima pianta, accolgono i visitatori essendo posti sul lato destro della strada di accesso alla cascina. La lavanda viene lavorata in modo da offrire una ricca e certificata offerta di prodotti di cosmesi, e non solo, acquistabili presso il Punto Lavanda.


Deliziosi i grissini alla lavanda, i dolci, e veramente eccezionale la pasta integrale cui è aggiunta un po’ di lavanda e del rosmarino, che viene servita semplicemente con del burro fuso.
Presso l’agriturismo è possibile partecipare anche a serate a tema e si ha anche la possibilità di soggiornare nel Bed & Breakfast.
Ed infine, è possibile  gustare tutti i prodotti in un meraviglioso pranzo o cena perché a cascina DUC  “fatto in casa” non è soltanto un modo di dire!