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Articoli di gennaio 2024

Sciroppo di Fichi
Sciroppo di Fichi

Grazie al suo alto contenuto energetico, il fico fa parte di quei frutti ideali da consumare a colazione o come merenda.

Tuttavia, quando è ben maturo, è possibile trarre vantaggio dalla sua ineguagliabile dolcezza per preparare anche uno sfizioso aperitivo, avvolgendo il frutto in una morbida fetta di prosciutto crudo.

Ma vogliamo parlare dei fichi secchi? Sono talmente buoni che uno tira l’altro! Occhio però: bisogna essere cauti e cercare di trattenersi poiché contengono molte più calorie del frutto fresco (249 Kcal per 100 g). Meglio consumarli come spuntino energetico o prima di compiere attività sportiva.

Forse non sapevate che il fico secco è anche un ottimo rimedio naturale contro la tosse: esso, infatti, può essere utilizzato per preparare uno sciroppo in grado di sciogliere il muco e ridurre il mal di gola.

Come si prepara? Semplice!

La ricetta dello Sciroppo di fichi

  1. In mezzo litro di acqua, fate bollire una ventina di fichi secchi tagliati a metà insieme a 200 grammi di miele (anch’esso dalle notevoli proprietà espettoranti e battericide).
  2. Trascorsi 20 minuti, filtrate il composto e trasferitelo in una boccetta di vetro.


Lo sciroppo è pronto: assumetene un cucchiaio all’occorrenza!

Vi ricordiamo che questo rimedio non si sostituisce ad eventuali e necessarie cure mediche e che ha un alto contenuto calorico: essendo molto buono, non fatevi tentare esageratamente!

Fasuoli cu l'Accia (Fagioli con il Sedano)
Fasuoli cu l'Accia (Fagioli con il Sedano)

Ingredienti
(dosi per 4 persone)

300 gr di fagioli cannellini in scatola
2 cipolline bianche
4 gambe di sedano
rosmarino fresco tritato
brodo vegetale o acqua
olio evo
sale q.b.
pepe q.b.

Procedimento
Mettete tutti gli ingredienti a freddo in un tegame con un filo di olio evo e lasciate insaporire per un paio di minuti. Aggiustate di sale e aggiungete un paio di mestoli di brodo facendo cuocere per una mezz’oretta. I fagioli dovranno un pochino sfaldarsi creando una sorta di cremina.Servite la zuppa con un filo di olio a crudo, una macinata di pepe e del pane caldo!

Polpette Napoletane Fritte
Polpette Napoletane Fritte

Le polpette di carne fanno parte della tradizione contadina.

 

Un tempo le polpette erano considerate un piatto povero, nato per riciclare gli avanzi. Gli scarti della carne di vitello, infatti, venivano impastati con uova e pane raffermo e cotti in varie maniere. Oggi, invece, grazie alla scelta di ingredienti di qualità è diventato uno dei piatti più consumati in assoluto!

 

Ingredienti

  • 400 g di macinato di vitello
  • 4 uova
  • 1 spicchio d’aglio
  • 180 g di pane raffermo (peso del pane ammorbidito e strizzato)
  • 30 g di parmigiano
  • sale
  • pepe
  • basilico
  • Per friggere:
  • 1 spicchio d’aglio
  • olio extra vergine di oliva

 

Procedimento

  • In una zuppiera mettere a bagno, in acqua, il pane raffermo e lasciatelo dentro per quindici minuti.
  • Trascorso il tempo, separate la crosta dalla mollica e quest’ultima strizzatela prima con le mani e poi con l’aiuto di uno schiacciapatate in modo da eliminare tutta l’acqua.
  • In un’altra zuppiera ponete la carne con il tuorlo d’uovo, il sale, il pepe, il basilico, l’aglio tagliato finemente e l’albume d’uovo sbattuto a parte; amalgamate il tutto.
  • Unite al composto il pane ridotto a piccole briciole (strofinare il pane tra le mani) e il parmigiano. Impastate con le mani finchè gli ingredienti risultino ben legati.
  • Con le mani leggermente umide prendere un po’ di impasto per volta (circa 40 g ) e formare delle polpette.
  • In una padella a fuoco lento mettete l’olio extra vergine di oliva e lo spicchio d’aglio in camicia schiacciato; appena l’aglio inizia a soffriggere, cuocete le polpette rigirandole bene da tutti i lati.
  • Servite le polpette in contenitori per finger food.
L’alimentazione kosher, tra salute e rispetto religioso
L’alimentazione kosher, tra salute e rispetto religioso

Articolo della dott.ssa Monica MartinoMonica Martino
Biologa e Consulente per aziende agroalimentari
e Food Blogger.

E-mail: info@bionutrichef.it
Blog: Esperimenti in cucina. Una biologa ai fornelli
FB: Esperimenti in cucina. Una biologa ai fornelli
IG: @bionutrichef

 

Alla scoperta delle cucine del mondo


L’alimentazione kosher, tra salute e rispetto religioso.


Secondo Max Weber, il cibo è uno dei fulcri intorno ai quali si sono sviluppate comunità e di conseguenza etnie, culture e religioni. Una realtà intrinsecamente anche politica, capace di modellare identità e tramandare memorie condivise. Nello stesso tempo crea anche “confini”: la diversità alimentare, specialmente se legata a dettami religiosi, può generare identità distinte e separate ma anche una pluralità di scelte e pratiche “interna” a ciascuna comunità, andando quindi al di là di qualunque stereotipo. Dello stesso avviso anche altri studiosi come Roland Barthes, Claude Levi-Strauss, Mary Douglas, Pierre Bourdieu e Jack Goody.

 

Uno degli esempi di stretta correlazione tra cibo e precetti religiosi lo troviamo nella religione ebraica, una delle più antiche tra le religioni monoteiste. La religione ebraica può essere definita come un’ortoprassia, un agire secondo le regole, e si manifesta attraverso la riflessione spirituale e le azioni quotidiane, permeando ogni aspetto della vita compresi i comportamenti di consumo: il cibo che si mangia, i momenti in cui ci si lava, i vestiti che si indossano, il modo di affrontare il proprio lavoro, i rapporti con il prossimo… tutto questo e altro diventano un’espressione dell’identità ebraica non meno della preghiera o delle celebrazioni festive. Queste regole, tra cui spiccano importanti norme igieniche e alimentari, si sono mantenute praticamente immutate nel corso dei secoli.

 

A cavallo tra lo scorso anno e quello attuale si è molto parlato della serie televisiva israeliana “Shtisel”, centrata su una famiglia di ebrei ultra-ortodossi che vive nel quartiere di Geula a Gerusalemme, riscontrando un ottimo successo di ascolti anche in Italia e un conseguente interesse verso la cultura e le tradizioni ebraiche. In questo articolo approfondiremo il rapporto degli ebrei osservanti nei confronti del cibo con i richiami ai precetti religiosi che influenzano la scelta degli alimenti e la loro preparazione.

 

 

Norme igieniche e alimentari

Gli ebrei rappresentano uno dei pochi popoli che hanno conservato la propria identità grazie, probabilmente, alla religione che detta una serie di norme e principi volti a regolare tutti gli aspetti della vita quotidiana, tra cui le norme igieniche e alimentari, che si sono mantenute immutate nel corso dei secoli.

 

La fonte di queste norme è la Bibbia, o meglio l’Antico Testamento, testo fondamentale della religione ebraica. All’interno di questo una parte importantissima è la Toràh o Pentateuco, a sua volta composta da cinque libri (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio), il nucleo della legge della religione ebraica. Molto importante è anche il Talmud, dove sono riportati i commenti e le interpretazioni elaborati dai Maestri sul contenuto della Toràh con approfondimenti riguardo il corretto comportamento da seguire.

 

La religione ebraica, quindi, non è solo culto della salute spirituale e orale ma anche, in maniera non secondaria, della salute fisica. Le leggi alimentari costituiscono un vero e proprio sistema a sé stante e non un semplice un elenco di cosa fare, mangiare e relative restrizioni. La Bibbia indica in modo chiaro quali alimenti mangiare e cosa non deve essere utilizzato per trattare tali alimenti e l’ebraismo insegna a non sottovalutare nemmeno i più piccoli atti e gesti apparentemente insignificanti, perché attraverso questi gesti che l’ebreo praticante vive la propria identità.

 

L’alimentazione diventa quindi un rito, un modo di essere ed agire in rettitudine, uno strumento per aspirare alla perfezione e di affermazione culturale e non più soltanto un modo per sopravvivere o una mera necessità fisiologica. Le leggi alimentari del popolo ebraico sono tra le più antiche che la storia possa ricordare e tradizione vuole che queste siano state consegnate ai discendenti di Abramo da Dio e ancora oggi scrupolosamente osservate. L’insieme di queste leggi è definito nell’accezione Kasherut, ovvero “adatto, giusto, appropriato”.

 

Gli ebrei indicano come Kosher tutti quegli alimenti che sono in accordo con le leggi del Kasherut. Quindi la natura degli alimenti consumati e che, assimilati, diventano parte del corpo stesso possono determinare le caratteristiche dell’individuo; di conseguenza, assumere cibi ‘puri’ (Kosher) permette di mantenere corpo, mente e spirito sani. I cibi non-Kosher sono invece definiti Tarefá, “impuro, sporco, proibito”.

 

Comunque, in casi estremi, anche il cibo proibito può essere assunto purché nel rispetto dei principi di moderazione ed equilibrio che dominano l’approccio ebraico all’alimentazione, quindi l’assunzione di un alimento severamente vietato presuppone solamente uno stato di assoluta necessità. Le regole stabiliscono che cosa è o non è alimento Kosher sono numerose, rigidissime e scrupolose.

 

Gli alimenti permessi nella religione ebraica sono i seguenti:

  • gli animali quadrupedi terrestri ruminanti sani, uccisi rapidamente e sottoposti ad una macellazione rituale;
  • i pesci con pinne e squame;
  • la frutta, la verdura, i cereali e tutti i loro derivati;
  • le uova;
  • il formaggio sottoposto a controllo rabbinico per accertarsi che sia prodotto da caglio vegetale oppure di animale macellato secondo le regole;
  • il vino prodotto da un Ebreo secondo una tradizionale procedura.

 

La regola alimentare del Kasherut è in realtà molto più complessa di quanto sia possibile ricavare da questo breve elenco, soprattutto per ciò che concerne la preparazione e il consumo di carni e latticini, al punto che diversi studiosi delle Sacre Scritture avrebbero intravisto in questa complessità un chiaro messaggio di carattere salutistico: scoraggiare il più possibile l’assunzione di proteine animali a favore di alimenti vegetali, ritenuti più vantaggiosi per la salute e lo spirito dell’essere umano.

 

I divieti fondamentali

Il fulcro delle regole alimentari ebraiche sono cinque divieti inderogabili, che modellano l’intero approccio alla nutrizione e sui quali si indicano le attività di preparazione degli alimenti sia in casa che a livello industriale, come ben spiegato da Riccardo Di Segni nella sua “Guida alle regole alimentari”:

Il divieto di nutrirsi del sangue: nella religione ebraica il sangue ha un elevatissimo valore simbolico perché rappresenta il soffio vitale; ingerirlo vuol dire appropriarsi dell’esistenza di una creatura, che appartiene solo a Dio, ed esporsi alle punizioni divine e ridursi allo stato animale agendo secondo istinti primordiali, replicando ancestrali pratiche idolatriche che usavano il sangue per ingraziarsi le divinità degli inferi. Tale divieto comunque riguarda solo l’impiego del sangue in cucina e non per altri scopi, in primis quelli medici.


Il divieto di cibarsi di alcune parti del grasso dei quadrupedi domestici: risale all’obbligo dell’epoca del Tempio di destinare a uso esclusivamente liturgico alcune parti degli animali sacrificati per ribadire, attraverso la loro sottrazione al consumo, la limitatezza del dominio umano sulle creature viventi; tale divieto riguarda in particolare

  • il consumo del grasso addominale che ricopre alcune parti del tubo digerente, la superficie diaframmatica, la milza e il fegato
  • della capsula adiposa renale (il grasso che avvolge i reni)
  • il grasso dei fianchi

 

Può invece essere consumato il grasso posto all’interno degli organi, delle masse muscolari o tra i muscoli e il grasso degli animali selvatici. Tale divieto impone agli individui di prestare attenzione alla selezione degli animali per mantenere alto il livello di lucidità, soprattutto quando il cibo deriva da un’azione violenta, affinché l’uomo non si abitui alla crudeltà dell’atto e sia consapevole del sacrificio dell’animale e del privilegio ricevuto dal Signore.

 

 

Il divieto di consumare membra tolte ad animali viventi: tale regola non è esplicitamente contemplata dalla Torah scritta, ma appartiene alla consuetudine e richiama la prima norma dettata da Noè ai sui figli dopo il diluvio universale; si mira ad arginare gli atti di mutilazione degli animali, anche precedenti alla macellazione, e impone il rispetto per la sofferenza inflitta e per la vita. Tale divieto trova applicazione nei confronti dei quadrupedi e dei volatili, non delle creature acquatiche.

 

Il divieto di mangiare il nervo sciatico: riveste una grande importanza perché ricorda la lotta, misteriosa e gloriosa, di Giacobbe contro un’entità che al termine del combattimento lo benedice e lo riconosce come Israele. In quest’ottica ha la funzione di mantenere inalterato il ricordo delle offese subite dal popolo ebraico che lo hanno scalfito ma non ne hanno compromesso la sopravvivenza. Tecnicamente il divieto si applica ai quadrupedi e riguarda entrambi i lati del nervo sciatico e del grasso che lo circonda. L’escissione del nervo sciatico è un procedimento molto difficile e complesso che viene effettuato da una specifica figura professionale (menaqqèr). Vista la particolarità dell’operazione in molte regioni si opta per offrire ai consumatori ebrei solo i quarti anteriori, destinando il resto ai non ebrei.

 

Il divieto di mischiare (cucinare e/o mangiare insieme) carne e latte: mescolare cibi besarì (di carne) e halavì (di latte), ripetuto tre volte nella Torah si esprime nel non poter mangiare insieme carne e latte, cucinare insieme carne e latte, anche se non destinati al consumo e trarre qualsiasi giovamento dalla mescolanza fra carne e latte. La proibizione si presta a numerosi.

 

Ciascuno di questi divieti, come si può ben vedere, ha una sua motivazione ben spiegata e nel complesso operano come monito anche etico per la comunità che, nel sacrificare altre creature per la propria sopravvivenza, deve comportarsi in modo consapevole, rigoroso e rispettoso della sofferenza inflitta. La disciplina alimentare interviene, dunque, per reinserire tali azioni nella loro giusta dimensione.

 

Come tutti i precetti ebraici, che spronano a rivestire di sacralità ogni atto della vita quotidiana, anche il cucinare kasher funge da stimolo alla ricerca interiore, favorendo un miglior rapporto nei confronti del suo prossimo e rispetto per la natura e gli animali.

 

 

La Certificazione Kosher

Le restrittive e ferree norme in ambito alimentare per la religione ebraica comportano la necessità di garantire ai consumatori la conformità di cibi pronti a tutte queste prescrizioni.

 

Per questo motivo, è necessario che le aziende si devono dotare di un’apposita certificazione, riconosciuta a livello internazionale, che garantisca ai fedeli che i prodotti che vengono processati e venduti possano essere consumati in tranquillità senza la paura da parte dell’ebreo praticante di violare le prescrizioni della propria religione.

 

L’ebraismo ha bisogno di una certificazione che attesti che i cibi siano conformi alle prescrizioni della Kasherut. Infatti, secondo Certificazione Kosher: “La certificazione Kosher è un servizio offerto alle aziende alimentari orientate al mercato nazionale ed internazionale. Ottenere il certificato Kosher significa produrre alimenti idonei al consumo e conformi alle norme di alimentazione Kosher. […] Questa certificazione risulta essere uno strumento indispensabile per rispecchiare ed indicare la trasparenza nel prodotto che ha conseguito il Kosher. Il consumatore è informato che il prodotto certificato ha sostenuto e superato con successo le rigide procedure di ottenimento. Un prodotto certificato Kosher è quindi, la fase finale di una accurata scelta degli ingredienti utilizzati, con la garanzia della totale assenza di rischi di contaminazione incrociata. Per questo motivo, i consumatori Kosher sono in continuo aumento, appartenendo a tutti i ceti sociali e religiosi, compresi gli intolleranti a diversi alimenti. Un prodotto certificato KOSHER PARVE, è una garanzia per gli intolleranti al latte ed alla carne, così come sarà una garanzia per i musulmani. Un prodotto certificato KOSHER PASSOVER, è una garanzia per i celiaci”.

 

Anche Italy Kosher Union approfondisce ulteriormente l’esigenza della certificazione: “Attualmente, con i mutati ritmi giornalieri che costringono spesso a pasti fuori casa, seguire le complesse procedure di preparazione del cibo secondo le leggi sarebbe piuttosto complicato, pertanto è nata la necessita di prodotti già pronti all’uso certificati Kosher. Tale certificazione è applicabile ad una gran varietà di prodotti, dagli ingredienti da cucina come l’olio d’oliva ad alimenti confezionati, fino ai prodotti dietetici. Essa viene rilasciata da apposite associazioni Rabbiniche, che si avvalgono anche della collaborazione di esperti, ed è indicata sul prodotto da un apposito simbolo o dicitura che identifica il Rabbino certificatore. Perché un prodotto sia certificato Kosher, tuttavia, è necessario che esso soddisfi rigorosissimi standard di qualità e che tutte le procedure di produzione e confezionamento nonché ogni singolo ingrediente utilizzato nella sua preparazione siano conformi alle restrittive leggi del Kasheruth. Il rispetto di queste severe regole [è] verificato periodicamente, da esperti, sul [luogo] di produzione e la certificazione (che ha una scadenza e va periodicamente ripetuta) può essere revocata in qualsiasi momento. L’estrema rigidità di queste norme costituisce una tutela per il consumatore indipendentemente dalla sua religione e, nel tempo, hanno reso la certificazione Kosher un marchio di qualità riconosciuto in tutto il mondo. In alcuni paesi come l’America, infatti, i maggiori consumatori di prodotti Kosher non sono Ebrei, ma persone di qualsiasi religione che ricercano in tale marchio una garanzia di qualità, genuinità e purezza”.

 

La certificazione kosher riguarda esclusivamente il cibo (dalle materie prime ai metodi di produzione al prodotto finito) e dev’essere rilasciata esclusivamente da un ente rabbinico che appone il marchio del rabbino certificatore. Tale certificazione è inoltre periodica e alla scadenza va rinnovata. Tra gli enti certificatori in Italia abbiamo Kosher Italy, il quale ha un programma di certificazione kosher riconosciuto a livello internazionale. La presenza di un ente in Italia è dovuta anche se non soprattutto alla presenza praticamente costante nel tempo della comunità ebraica dal Nord fino al Sud del nostro Paese, isole comprese

 

 

Bibliografia

Ceva E. Il pluralismo alimentare come problema filosofico. Notizie di POLITEIA, XXX, 114, 2014. ISSN 1128-2401 pp. 3-12
Cinganotto M. Le certificazioni nel settore alimentare: la valorizzazione della filiera. Università degli Studi di Padova, 2013
Decimo L. Le influenze religiose nel mercato di beni tra libertà giuridiche ed economiche. Calumet, 2018
Di Segni R. Guida alle regole alimentari ebraiche. Ed. Lamet, Roma 1996
Gatto G., Alimentazione e ritualità nelle tradizioni delle regioni italiane – Purezza, impurità, rischio. SMSR 80 (2/2014) 667-693
Tercatin R. (a cura di) La dieta kasher. Storia, regole e benefici dell’alimentazione ebraica. Ed. Giuntina, Firenze 2015
Toselli E. Kosher, halal, bio – Regole e Mercati. Ed. FrancoAngeli, Milano 2015
Vian A. Accoglienza halal e kosher a Venezia – Religiosità, certificazioni e strutture. Università Ca’ Foscari Venezia, 2016

Cascina DUC: “fatto in casa” non è soltanto un modo di dire…
Cascina DUC: “fatto in casa” non è soltanto un modo di dire…

Un angolo di terra dove passato e presente si fondono, per donare un pezzo di futuro alle prossime generazioni.
Questa meravigliosa cascina risalente al 1790 è situata ai confini tra Torino e Grugliasco, in una delle poche aree verdi ancora esistenti ai confini della città, ma facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici e dall’autostrada, Cascina Duc rappresenta un esempio, tra i pochi ancora “integri” nei dintorni del torinese, di cascina funzionante su attività agricole.


Oltre venti ettari di terreno, coltivati a foraggio, cereali e lavanda, cingono sui quattro lati la palazzina in cui trovano la loro naturale dimora, l’agriturismo con oltre 100 posti a sedere, ed i punti vendita delle produzioni locali.
Nelle stalle, che si affacciano sull’aia centrale, troviamo oltre un centinaio di bovini, allevati con metodi e alimenti naturali e lasciati liberi di pascolare quotidianamente nei dintorni della cascina e la cui carne trovate in vendita presso l’agrimacelleria all’interno della cascina.


La frutta raccolta dagli alberi che da sempre abitano la struttura e quanto stagionalmente prodotto nella porzione di terra coltivata ad orto, rappresentano la naturale materia prima dei piatti cucinati in agriturismo e delle produzioni (confetture, pasta ripiena, conserve, ecc) in vendita presso il Punto Pastificio-Gastronomia insieme al miele prodotto dalle loro api. La coltivazione della lavanda è un altro dei cardini di quest’agriturismo, i filari di questa profumatissima pianta, accolgono i visitatori essendo posti sul lato destro della strada di accesso alla cascina. La lavanda viene lavorata in modo da offrire una ricca e certificata offerta di prodotti di cosmesi, e non solo, acquistabili presso il Punto Lavanda.


Deliziosi i grissini alla lavanda, i dolci, e veramente eccezionale la pasta integrale cui è aggiunta un po’ di lavanda e del rosmarino, che viene servita semplicemente con del burro fuso.
Presso l’agriturismo è possibile partecipare anche a serate a tema e si ha anche la possibilità di soggiornare nel Bed & Breakfast.
Ed infine, è possibile  gustare tutti i prodotti in un meraviglioso pranzo o cena perché a cascina DUC  “fatto in casa” non è soltanto un modo di dire!

LASAGNE ALLA CREMA DI ASPARAGI E PROSCIUTTO COTTO
LASAGNE ALLA CREMA DI ASPARAGI E PROSCIUTTO COTTO

Ingredienti

  • Fogli di lasagna già pronti
  • 200 gr di prosciutto cotto
  • 200 gr di raspadura circa (formaggio tipico lodigiano)

 

Per la besciamella:

  • 1lt di latte di riso al naturale non zuccherato
  • 80 gr d’olio evo
  • 80 gr di farina di riso
  • 1 pizzico di noce moscata
  • Sale q.b.

 

Per la crema di asparagi:

  • 2 mazzi di asparagi
  • 200ml di panna di riso
  • Olio evo q.b.

 

Procedimento

Per la crema di asparagi: lessate gli asparagi, scolateli, mettete in un mixer. Frullate insieme ad un cucchiaio di olio evo e la panna di riso. Aggiustate di sale e pepe e lasciate da parte. Ora prepariamo la besciamella: versate il latte in una pentola e riscaldatelo, portandolo quasi ad ebollizione. Quindi unite l’olio extravergine e la farina di riso un cucchiaio alla volta. Mescolate accuratamente con una frusta e mantenete la besciamella sul fuoco fino a quando non avrà raggiunto la consistenza desiderata.  Insaporite con un pizzico di sale e noce moscata. Ora assembliamo la lasagna e nel frattempo preriscaldate il forno a 200°.  Sporcate il fondo di una pirofila con due cucchiai di besciamella, adagiate i fogli di pasta, ricoprite con la crema di asparagi, con la besciamella, prosciutto cotto, raspadura e ancora i fogli di pasta. Procedete in questo modo fino ad ultimare gli ingredienti: con queste dosi usciranno 4 strati.  Spolverata con abbondante raspadura, un filo d’olio evo e infornate per 30 minuti: sopra deve formarsi quella deliziosa crosticina croccante e dorata.
Fate raffreddare qualche minuto e portate in tavola!

CASTAGNOLE AL FORNO (senza glutine e senza lattosio)
CASTAGNOLE AL FORNO (senza glutine e senza lattosio)

Carnevale si avvicina e rinunciare ai dolci è davvero impossibile! Io vi consiglio di provare a realizzare le castagnole… vedrete che successo in famiglia! Questa è la mia ricetta delle castagnole senza glutine e senza lattosio, cotte al forno.

 

Ingredienti

  • 200 gr di mix di farine senza glutine
  • 1 uovo
  • 80gr di zucchero semolato fine
  • 40gr di burro senza lattosio
  • 1/2 bicchiere di latte di soia ( o di vino bianco)
  • 1/2 bustina di polvere lievitante senza glutine
  • buccia grattugiata limone q.b.
  • zucchero a velo senza glutine

 

Procedimento

  • In una ciotola unite il mix di farine con lo zucchero e il lievito. Unite le uova e il burro morbido e impastate velocemente il tutto sino ad ottenere un impasto omogeneo. Aggiungere il latte e la buccia grattugiata del limone. Fate una palla, avvolgete nella pellicola e lasciate riposare in frigorifero per 30 minuti.
  • Riprendete l’impasto e create tante palline di pasta grandi come una castagna, fatevi aiutate dai bambini. Disponetele su una placca foderata con carta forno leggermente distanziate l’una dall’altra perché durante la cottura lieviteranno un pochino (cosa che non mi era successa la prima volta).
  • Infornate in forno caldo a 200° per circa 10/15 minuti: devono ben colorarsi. Spolverate con zucchero a velo.
Patate. Come conservarle senza farle germogliare
Patate. Come conservarle senza farle germogliare

Oggi parliamo di patate e di come conservarle nel modo corretto per evitare la formazione di germogli e non rischiare inutili sprechi.

 

Le patate sono fra gli ortaggi più amati e utilizzati in cucina, grazie al loro gusto inconfondibile e alla loro versatilità. Sono sempre presenti nelle nostre dispense, ma capita spesso che sviluppino i germogli, che si anneriscano o che marciscano velocemente. Per evitare di doverle buttare a causa di queste incombenze, è importante seguire alcune regole.

 

La scelta

Quando fate la spesa, scegliete le patate che non presentano tagli o lesioni e una volta tornati a casa, riponetele in un sacchetto di carta o in un contenitore; se invece le avete acquistate nella classica rete, lasciatele al suo interno.

 

Dove conservarle

Per evitare la formazione di muffe, prediligete un luogo areato, ma soprattutto buio, poiché l’esposizione alla luce o al sole favorirebbe lo sviluppo di macchie e di solanina, una tossina naturale che in elevate quantità renderebbe il tubero non commestibile. Nel caso in cui fossero presenti piccole chiazze verdi, rimuovete la parte interessata prima di passare alla cottura.

 

La temperatura di conservazione ideale si aggira fra i 4 e gli 8 gradi, per questo le patate non vanno assolutamente conservate in frigo. Il freddo, infatti, trasforma gli amidi in zuccheri, alterando colori e sapori naturali.

 

Inoltre non è possibile congelare le patate crude, in quanto le temperature al di sotto dei 4 gradi le renderebbero non commestibili. Potete fatelo solo dopo averle cotte e raffreddate correttamente. Anche il caldo è nemico delle patate, difatit le temperature al di sopra dei 10 gradi potrebbero stimolare precocemente la formazione dei germogli.

 

Altro fattore importante per una corretta conservazione, l’umidità, che deve aggirarsi fra il 70 e l’80%: se il luogo prescelto è troppo asciutto, le patate rischiano di disidratarsi e raggrinzirsi; se c’è troppa umidità, potrebbero formarsi delle muffe. Mai lavarle, infatti, prima di metterle in dispensa!

 

A somme fatte, quindi, la cantina parrebbe uno dei luoghi migliori per conservare le patate. Se non ne avete una a disposizione, andrà benissimo anche una dispensa che aprite raramente, lontana da fonti di luce, calore o umidità.

 

Si possono mangiare le patate germogliate?
Dipende. Se la consistenza è ancora compatta e i germogli sono di piccole dimensioni, basterà eliminarli e consumarle nel minor tempo possibile. Se invece sono presenti molti germogli, di grosse dimensioni, e le patate si presentano rugose, allora è meglio non mangiarle. Per evitare che questo accada, controllate ogni tanto le patate e rimuovete i germogli prima che inizino a crescere.

Tentacoli di Totano Gigante e Patate “Ajavdè”
Tentacoli di Totano Gigante e Patate “Ajavdè”

Sulla nostra tavola il pesce non manca mai, lo preparo più volte alla settimana, perché è sano e nutriente, ma spesso il tempo è tiranno, tutti andiamo sempre di corsa e una volta arrivati a casa ci vogliono ricette semplici e veloci, per cucinare dei piatti gustosi, ma in poco tempo.

 

Un’idea buona a volte ci salva una cena. E siamo sicuri che sia possibile? Una bella sfida, come quella della Cooperativa Ajavdè di Pizzoferrato (Abruzzo), di cui ho utilizzato le patate rosse per questa ricetta! Certo che si può, eccone qui un esempio: vi lascio la mia idea per una ricetta “speedy express” che ha veramente sorpreso i miei commensali per il suo sapore morbidissimo e delicato.

 

Ingredienti

(dosi per 4 persone)

  • 500 g di tentacoli di totano gigante già tagliato (surgelato)
  • 4 patate rosse (io ho usato quelle della Cooperativa Ajavdè)
  • 2 cucchiai di concentrato di pomodoro
  • ½ bicchiere di brandy
  • 1 manciata di prezzemolo fresco tritato
  • sale aromatizzato qb
  • olio extra-vergine d’oliva q.b.
  • qualche foglia di menta fresca

 

Procedimento

  • In una padella antiaderente (io ho usato il wok) mettete tre cucchiai di olio extra-vergine di oliva e dopo aver sbucciato e lavato accuratamente le patate, tagliatele direttamente in padella con lo sbuccia-patate in modo da avere le patate affettate a strisce sottili (e così cuoceranno in un attimo!).
  • Aggiungete ora il totano ancora surgelato, il concentrato di pomodoro e una manciata di prezzemolo fresco e lasciate cuocere coperto per una decina di minuti, fino a che il totano si sia completamente scongelato.
  • Irrorate con un po’ di brandy, lasciate sfumare per qualche minuto, aggiustate di sale e terminate la cottura con un giro d’olio a crudo e qualche foglia di menta fresca. Il totano resterà tenerissimo, saporito e davvero gustoso. Prestate molta attenzione però a non cuocerlo troppo, altrimenti resterà duro e gommoso. Il tempo di cottura è importantissimo per la perfetta riuscita del piatto!